Estratto
dal libro I Papi Contro gli Ebrei
di David
I. Kertzer
“In
Austria i semi dell'antisemitismo cattolico che erano stati piantati
con l'aiuto del Vaticano negli ultimi due decenni del diciannovesimo
secolo continuarono a dar frutti negli anni successivi alla guerra
mondiale. Un opuscolo largamente diffuso scritto da un noto
predicatore gesuita, padre Victor Kolb, riflette l'atteggiamento dei
cattolici austriaci nei confronti degli ebrei all'inizio della
guerra. Alla riunione dell'organizzazione cattolica Piusverein,
dedita alla promozione della stampa cattolica in Austria, padre Kolb
avvertì dei pericoli che il paese doveva affrontare:”Dovunque si
volta lo sguardo, dappertutto ci si imbatte nell'opera del giudaismo,
opera cosciente, provvista di mezzi illimitati, sempre rivolta alla
supremazia in qualsiasi forma”. Tuonò che era meglio rammentare il
motto del Piusverein:”Protezione del popolo tedesco, nell'interno e
nell'esterno, contro la penetrazione ebraica, e contro l'opera
distruttrice dei giudei”. Il discorso di Kolb fu tradotto
immediatamente in italiano e stampato su richiesta di padre
Wladimir Ledóchowsky,
il sacerdote polacco che di lì a poco sarebbe diventato il generale
dei gesuiti di tutto il mondo. Vennero distribuite copie del discorso
in Vaticano. Più di due decenni più tardi, Ledóchowsky
avrebbe avuto un ruolo importante e tuttora misterioso
nell'ostacolare l'unico tentativo di Pio XI di condannare
ufficialmente la persecuzione nazista degli ebrei, come vedremo
presto.
Negli
anni Venti e nei primi anni Trenta si può tranquillamente sostenere
che qualsiasi organizzazione austriaca che si considerasse cattolica
era anche antisemitica.”
pag.
288-289
“All'inizio
dell'estate del 1938 Pio XI aveva deciso che bisognava fare qualche
tipo di dichiarazione pubblica sull'antisemitismo e aveva invitato un
gesuita americano, padre John LaFarge, a un incontro. In quella
riunione del 22 giugno, il papa affidò allo sbigottito americano il
compito di scrivere un'enciclica sull'unità del genere umano, in cui
si condannasse sia il razzismo sia l'antisemitismo. Il papa aveva
letto Interracial
Justice
(1937), un libro scritto da LaFarge sul pregiudizio razziale negli
Stati Uniti, e pensava che il gesuita americano sarebbe stato
perfetto per preparare un'enciclica del genere. Ma LaFarge,
intimorito dall'enormità del compito, andò a trovare il generale
dei gesuiti, il polacco Wladimir
Ledóchowsky,
in cerca di aiuto. Ledóchowsky
gli affiancò altri due gesuiti, il tedesco Gustav Gundlach e il
francese Gustave Desbuquois.
Si
rammenti che Ledóchowsky
era lo stesso uomo che nel 1914 aveva fatto tradurre in italiano la
diatriba antisemitica dell'austriaco padre Kolb e l'aveva
distribuita ai membri della Curia vaticana. In questo contesto non
sorprende che il generale dei gesuiti avesse scelto Gustav Gundlach
come collaboratore di LaFarge nella stesura dell'enciclica. Gundlach
era una nota autorità sull'antisemitismo, avendo scritto il testo
base dei cattolici tedeschi sull'argomento, la voce “Antisemitismo”
per per l'autorevole enciclopedia teologica tedesca, Lexikon
Für
Theologie und Kirche,
pubblicata solo pochi anni prima. In quel testo metteva a confronto i
due tipi di antisemitismo moderno, uno “non cristiano”, basato su
concetti völkisch
e razzisti, e l'altro in armonia con gli insegnamenti della Chiesa.
Quest'ultimo si opponeva agli ebrei a causa della loro “influenza
dannosa” sulla società. Questa forma cattolica di antisemitismo,
approvata dalla Chiesa, non ammetteva motivazioni razziste. Ma
secondo Gundlach, considerata la minaccia reale rappresentata dagli
ebrei, i cattolici dovevano fare tutto quello che potevano –
all'interno del diritto – per combattere l'influenza negativa che
gli ebrei esercitavano nella vita economica e politica, nelle scienze
e nelle arti.
Non
sorprende quindi che la lunga dichiarazione redatta dai tre gesuiti
fosse molto meno di una decisa condanna dell'antisemitismo.
L'abbozzo era centrato sull'opposizione della Chiesa al razzismo e
sulla sua ferma convinzione dell'unicità dell'essere umano. La
sezione riguardante gli ebrei, pur condannando le teorie razziste su
di loro, rifletteva pienamente gli atteggiamenti vecchi di sempre
della Chiesa. Gli ebrei, “accecati da una visione di dominio e
guadagno materialistici”, non avevano capito di dover riconoscere
il Salvatore. I loro leader “si erano attirati sulle teste una
maledizione divina” che li aveva condannati “a vagare
perennemente sulla Terra”. La speranza della Chiesa in una
definitiva conversione degli ebrei, continuava l'abbozzo, “non
le impedisce di scorgere i pericoli spirituali a cui il contatto con
gli ebrei espone le anime, né la rende inconsapevole della necessità
di salvaguardare i suoi figli da questo contagio spirituale”.
Riflettendo il precedente articolo di Gundlach, l'abbozzo di
enciclica garantiva ai governi il diritto di “affrontare i problemi
riguardanti il popolo ebraico che sorgano negli ambiti più
squisitamente profani” e quindi “la Chiesa lascia alle potenze
interessate la soluzione di questi problemi”.
La
Chiesa chiedeva solo agli stati di esercitare “giustizia e carità”
in qualsiasi provvedimento avessero preso per proteggere la società
cristiana dagli ebrei.
Ma
per quanto debole, l'enciclica in cui si condannava l'antisemitismo
razzista non fu mai pubblicata.
Le circostanze della mancata pubblicazione rimangono avvolte nel
mistero. Padre LaFarge e i suoi colleghi completarono la stesura alla
fine di settembre e LaFarge in persona la portò a Roma per
consegnarla a padre Ledóchowsky,
aspettandosi che la inoltrasse immediatamente al papa. Ma
il generale dei gesuiti era ben poco entusiasta del progetto del papa
e, invece di consegnarla a lui, la diede al suo collega gesuita padre
Enrico Rosa, ex direttore della “Civiltà Cattolica”. Si rammenti
che all'epoca Rosa pubblicava regolarmente una serie di articoli di
denuncia degli ebrei ed è difficile non pensare che mandandogli
l'abbozzo di enciclica Ledóchowsky
cercasse
non solo di ritardare la pubblicazione, ma addirittura di sabotarla.
Padre Gundlach, irritato nel constatare che i mesi di lavoro dedicati
al progetto non erano serviti a niente, diede fiato a questi
sospetti.
Padre
Rosa morì un mese e mezzo dopo aver ricevuto l'abbozzo. Quando
l'enciclica raggiunse Pio XI all'inizio del 1939, quest'ultimo era
ormai sul letto di morte e infatti morì il 9 febbraio senza aver
potuto convalidare la bozza. Il suo successore, Pio XII, nell'ansia
di cercare di rinnovare i rapporti con Hitler, pensò che fosse
meglio evitare ogni critica dell'antisemitismo nazista e quindi non
intraprese alcuna iniziativa. Il
documento finì sepolto negli archivi vaticani.”
pag.
296-297
leggi
anche:
Il
Segreto più Infame del Vaticano THE ENEMY UNMASKED:Il Fronte Ebrei-Illuminati