venerdì 29 marzo 2013

Il Decisivo Aiuto del Generale dei Gesuiti Ledóchowsky ai Nazisti

Estratto dal libro I Papi Contro gli Ebrei

di David I. Kertzer




“In Austria i semi dell'antisemitismo cattolico che erano stati piantati con l'aiuto del Vaticano negli ultimi due decenni del diciannovesimo secolo continuarono a dar frutti negli anni successivi alla guerra mondiale. Un opuscolo largamente diffuso scritto da un noto predicatore gesuita, padre Victor Kolb, riflette l'atteggiamento dei cattolici austriaci nei confronti degli ebrei all'inizio della guerra. Alla riunione dell'organizzazione cattolica Piusverein, dedita alla promozione della stampa cattolica in Austria, padre Kolb avvertì dei pericoli che il paese doveva affrontare:”Dovunque si volta lo sguardo, dappertutto ci si imbatte nell'opera del giudaismo, opera cosciente, provvista di mezzi illimitati, sempre rivolta alla supremazia in qualsiasi forma”. Tuonò che era meglio rammentare il motto del Piusverein:”Protezione del popolo tedesco, nell'interno e nell'esterno, contro la penetrazione ebraica, e contro l'opera distruttrice dei giudei”. Il discorso di Kolb fu tradotto immediatamente in italiano e stampato su richiesta di padre Wladimir Ledóchowsky, il sacerdote polacco che di lì a poco sarebbe diventato il generale dei gesuiti di tutto il mondo. Vennero distribuite copie del discorso in Vaticano. Più di due decenni più tardi, Ledóchowsky avrebbe avuto un ruolo importante e tuttora misterioso nell'ostacolare l'unico tentativo di Pio XI di condannare ufficialmente la persecuzione nazista degli ebrei, come vedremo presto.

Negli anni Venti e nei primi anni Trenta si può tranquillamente sostenere che qualsiasi organizzazione austriaca che si considerasse cattolica era anche antisemitica.”

pag. 288-289




“All'inizio dell'estate del 1938 Pio XI aveva deciso che bisognava fare qualche tipo di dichiarazione pubblica sull'antisemitismo e aveva invitato un gesuita americano, padre John LaFarge, a un incontro. In quella riunione del 22 giugno, il papa affidò allo sbigottito americano il compito di scrivere un'enciclica sull'unità del genere umano, in cui si condannasse sia il razzismo sia l'antisemitismo. Il papa aveva letto Interracial Justice (1937), un libro scritto da LaFarge sul pregiudizio razziale negli Stati Uniti, e pensava che il gesuita americano sarebbe stato perfetto per preparare un'enciclica del genere. Ma LaFarge, intimorito dall'enormità del compito, andò a trovare il generale dei gesuiti, il polacco Wladimir Ledóchowsky, in cerca di aiuto. Ledóchowsky gli affiancò altri due gesuiti, il tedesco Gustav Gundlach e il francese Gustave Desbuquois.

Si rammenti che Ledóchowsky era lo stesso uomo che nel 1914 aveva fatto tradurre in italiano la diatriba antisemitica dell'austriaco padre Kolb e l'aveva distribuita ai membri della Curia vaticana. In questo contesto non sorprende che il generale dei gesuiti avesse scelto Gustav Gundlach come collaboratore di LaFarge nella stesura dell'enciclica. Gundlach era una nota autorità sull'antisemitismo, avendo scritto il testo base dei cattolici tedeschi sull'argomento, la voce “Antisemitismo” per per l'autorevole enciclopedia teologica tedesca, Lexikon Für Theologie und Kirche, pubblicata solo pochi anni prima. In quel testo metteva a confronto i due tipi di antisemitismo moderno, uno “non cristiano”, basato su concetti völkisch e razzisti, e l'altro in armonia con gli insegnamenti della Chiesa. Quest'ultimo si opponeva agli ebrei a causa della loro “influenza dannosa” sulla società. Questa forma cattolica di antisemitismo, approvata dalla Chiesa, non ammetteva motivazioni razziste. Ma secondo Gundlach, considerata la minaccia reale rappresentata dagli ebrei, i cattolici dovevano fare tutto quello che potevano – all'interno del diritto – per combattere l'influenza negativa che gli ebrei esercitavano nella vita economica e politica, nelle scienze e nelle arti.

Non sorprende quindi che la lunga dichiarazione redatta dai tre gesuiti fosse molto meno di una decisa condanna dell'antisemitismo. L'abbozzo era centrato sull'opposizione della Chiesa al razzismo e sulla sua ferma convinzione dell'unicità dell'essere umano. La sezione riguardante gli ebrei, pur condannando le teorie razziste su di loro, rifletteva pienamente gli atteggiamenti vecchi di sempre della Chiesa. Gli ebrei, “accecati da una visione di dominio e guadagno materialistici”, non avevano capito di dover riconoscere il Salvatore. I loro leader “si erano attirati sulle teste una maledizione divina” che li aveva condannati “a vagare perennemente sulla Terra”. La speranza della Chiesa in una definitiva conversione degli ebrei, continuava l'abbozzo, “non le impedisce di scorgere i pericoli spirituali a cui il contatto con gli ebrei espone le anime, né la rende inconsapevole della necessità di salvaguardare i suoi figli da questo contagio spirituale”. Riflettendo il precedente articolo di Gundlach, l'abbozzo di enciclica garantiva ai governi il diritto di “affrontare i problemi riguardanti il popolo ebraico che sorgano negli ambiti più squisitamente profani” e quindi “la Chiesa lascia alle potenze interessate la soluzione di questi problemi”.

La Chiesa chiedeva solo agli stati di esercitare “giustizia e carità” in qualsiasi provvedimento avessero preso per proteggere la società cristiana dagli ebrei.



Ma per quanto debole, l'enciclica in cui si condannava l'antisemitismo razzista non fu mai pubblicata. Le circostanze della mancata pubblicazione rimangono avvolte nel mistero. Padre LaFarge e i suoi colleghi completarono la stesura alla fine di settembre e LaFarge in persona la portò a Roma per consegnarla a padre Ledóchowsky, aspettandosi che la inoltrasse immediatamente al papa. Ma il generale dei gesuiti era ben poco entusiasta del progetto del papa e, invece di consegnarla a lui, la diede al suo collega gesuita padre Enrico Rosa, ex direttore della “Civiltà Cattolica”. Si rammenti che all'epoca Rosa pubblicava regolarmente una serie di articoli di denuncia degli ebrei ed è difficile non pensare che mandandogli l'abbozzo di enciclica Ledóchowsky cercasse non solo di ritardare la pubblicazione, ma addirittura di sabotarla. Padre Gundlach, irritato nel constatare che i mesi di lavoro dedicati al progetto non erano serviti a niente, diede fiato a questi sospetti.

Padre Rosa morì un mese e mezzo dopo aver ricevuto l'abbozzo. Quando l'enciclica raggiunse Pio XI all'inizio del 1939, quest'ultimo era ormai sul letto di morte e infatti morì il 9 febbraio senza aver potuto convalidare la bozza. Il suo successore, Pio XII, nell'ansia di cercare di rinnovare i rapporti con Hitler, pensò che fosse meglio evitare ogni critica dell'antisemitismo nazista e quindi non intraprese alcuna iniziativa. Il documento finì sepolto negli archivi vaticani.

pag. 296-297



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