Forse
la constatazione più amara e rivelatrice dell'intero libro L'Oro
del Vaticano di Nino lo Bello è proprio l'ultima frase a
pagina 219:
“L'autore di questo libro
prevede che verrà il giorno, magari tra un migliaio di anni, in cui
il Vaticano cesserà di funzionare come un'istituzione religiosa e
assumerà in tutto e per tutto le funzioni di una grande impresa
finanziaria. La transizione dall'una all'altra veste sarà meno
difficile di quanto possa sembrare, proprio perché man mano che il
cattolicesimo andrà accentuando la propria decadenza come grande
religione, le ricchezze della Chiesa potranno più facilmente
infiltrarsi in qualsiasi campo dell'economia mondiale. Allora,
finalmente, il magnate installato al di là del Tevere potrà
liberarsi della sua veste di pietà; allora, finalmente, il Vaticano
rivelerà l'autentica estensione dei suoi interessi economici.”
L'edizione
italiana del libro uscì nel 1971. In essa pertanto non troviamo
informazioni aggiornate sulla reale estensione degli interessi
finanziari del Vaticano in giro per il mondo; questo lavoro però è
un raro e prezioso documento storico ad opera di un professore
universitario statunitense che tentò, in tutta onestà, di
quantificare la reale entità di questi interessi. A tutt'oggi questo
lavoro ci sembra uno dei pochi che ha tentato di svelare al pubblico
questo genere di affari; questo la dice lunga sul potere censorio del
Vaticano quando si tratta di andare a curiosare sui suoi conti.
Il
libro è così
introdotto:
“A
Roma, la Società che fornisce acqua alla città, la Società dei
telefoni e la più grande Società di costruzioni sono di proprietà
o sono controllate dal Vaticano. Interessi ha anche il Vaticano nella
Snia-Viscosa, nell’Italgas, nella Manifattura Ceramiche Pozzi
(lavabi, vasche, servizi igienici), nella Molini e Pastifici
Pantanella, nelle Funivie Savona San Giuseppe, nella Carbonifera
Chiapello, nella Salifera Siciliana, nel Bottonificio Fossanese, nel
Cotonificio Veneziano, ecc. ecc. Altre migliaia di Società, sparse
in tutto il mondo, dipendono, in tutto o in parte, dal Vaticano, che
è un grande impero finanziario di cui, per la prima volta, in questo
volume, si cerca di definire l’ampiezza e la potenza. Volume che,
appena apparso in America, ha già suscitato vivaci polemiche; è
stato oggetto di interventi e precisazioni della Santa Sede, ma senza
che le cifre, i fatti, le indiscrezioni, raccolti da Nino Lo Bello,
potessero essere smentiti. Del resto, se il ministro Preti ha
dichiarato che, nel 1965, gli investimenti del Vaticano, superavano
di poco i cento milioni di dollari, l’Economist ha valutato il
portafoglio azionario vaticano a otto miliardi e ottocento milioni di
dollari, di cui cinque miliardi almeno investiti in azioni italiane.
Questa diversità di valutazioni è dovuta al segreto gelosissimo che
circonda le operazioni finanziarie della Santa Sede. Ma quale è la
verità? L’oro del Vaticano, opera di un professore universitario
americano che ha vissuto tredici anni in Europa, in qualità di
corrispondente per gli affari economici, risponde a questa domanda. "
Di
seguito riportiamo alcuni estratti del libro:
Dal
capitolo 1
"Come
altri milioni di cattolici, io non avevo mai prestato attenzione agli
affari commerciali del Vaticano. Eppure, avrei forse dovuto
accorgermi da molto tempo che la Chiesa è un'autentica istituzione
finanziaria"(pag.5)
"Gli
aspetti finanziari dell'attività del Vaticano sono circonfusi di
mistero. Unico, fra gli Stati sovrani, a non pubblicare mai il
proprio bilancio, il Vaticano è anche la sola Chiesa organizzata che
tenga gelosamente segreti i propri affari finanziari. E questi affari
sono talmente ramificati e complicati che è da dubitare che esista
una sola persona, Papa compreso, che ne abbia una visione
completa"(pag. 6)
"Tutt'al
più, quest'indagine sulle finanze vaticane che io ho faticosamente
messo assieme negli ultimi dieci anni mostrerà questo venerabile
organismo come una delle più grandi potenze fiscali del mondo.
In
apparenza il Vaticano di oggi è profondamente diverso da quello di
un secolo fa. Tuttavia continua a tenere accuratamente nascoste sotto
un velo di oscurità le sue operazioni finanziarie. E che sia
riuscito a conservare questa riservatezza in un'epoca in cui affari
ed economia sono fatti d'interesse primario, è certamente degno di
nota. "(pag.7)
“Nel
senso in cui l'adoperiamo qui, l'espressione “ricchezza del
Vaticano” non deve esser confusa con il cosiddetto “patrimonio
della Chiesa”, che costituisce in chiese, antichi palazzi e tesori
artistici.[...] Nel quadro dei riferimenti qui usati, “ricchezza
del Vaticano” è il danaro che guadagna negli affari il quartier
generale mondiale della Chiesa Cattolica, sono i profitti che il
Vaticano ha accumulato e difeso con l'impiego di tutta la sua
artiglieria pesante.”(pag.8)
Dal
capitolo 2
“L'organismo
che fino al 1967 era la spina dorsale degl'interessi economici del
papato e fungeva da Ministero delle Finanze, era quello noto come
Amministrazione Speciale (ora assorbito dalla nuova struttura).
Istituito nel 1929, dopo la firma del Trattato del Laterano fra
l'Italia fascista e la Santa sede (su questo Trattato v. il Cap.V),
l'Amministrazione Speciale fu alimentata dalla somma di circa novanta
milioni di dollari versata dal dittatore Benito Mussolini alla Santa
Sede come indennizzo per la perdita degli Stati Pontifici.
Grazie a
oculati investimenti, essa salì a circa cinquecentocinquanta milioni
di dollari. Questa cifra non ufficiale, corrispondente piuttosto a
una stima prudenziale, è quella solitamente offerta dal consorzio
delle Banche romane e rappresenta l'ammontare presuntivo dei beni
liquidi dell'Amministrazione Speciale durante gli ultimi mesi del
1967.
Unica
nel suo genere quanto a libertà di azione, tale da suscitare
l'invidia di qualsiasi imprenditore o Ministro delle Finanze del
mondo intero, l'Amministrazione Speciale non doveva render conto a
nessuno del proprio operato. Nessun comitato elettivo, nessun
gabinetto governativo la controllava, né doveva presentare
rendiconti ad assemblee di azionisti. Dal momento che operava in
segreto (così come nuovo “ministero delle finanze”) nessun
giornale poteva gettarle addosso sguardi indiscreti. In Italia e in
molti altri paesi non pagava tasse. Non dovendo preoccuparsi
eccessivamente della disponibilità di capitali, poteva impostare
programmi e investimenti a lungo termine. I privilegi diplomatici
rendevano spesso particolarmente agevoli le sue operazioni e i
contatti diplomatici, grazie ai quali l'”ufficio interno” era
tenuto regolarmente informato su qualsiasi fatto che potesse
presumibilmente influire sugli orientamenti economici, le davano un
notevole vantaggio sulla concorrenza.
L'uomo
che governò l'Amministrazione Speciale dalla fine del 1958 alla sua
dissoluzione fu il cardinale Alberto de Jorio, che era entrato in
quell'ufficio nel '39 come assistente e, assegnato nel '42
all'Istituto per le opere di religione (la Banca vaticana) ne era
diventato presidente nel '44, pur continuando a far parte
dell'Amministrazione Speciale. In seguito fu nominato segretario
della commissione di tre cardinali preposta a detto organismo.
Alberto de Jorio |
De
Jorio, che ricevette il berretto cardinalizio nel 1958, condusse le
operazioni della commissione con magistrale oculatezza e si circondò
di un trust di cervelli di esperti finanzieri, che annoverava
fra gli altri l'italiano Luigi Mennini, un laico, e il marchese Henri
de Maillardoz, ex direttore del Credit Suisse di Ginevra,
presso il quale il Vaticano possiede almeno due sostanziosi conti.
Benché
i depositi più importanti siano presso la Banca ginevrina, il
Vaticano ne possiede altri anche in numerose Banche pubbliche.
Il
defunto cardinal Domenico Tardini, Segretario di Stato, affermò una
volta in un'intervista che le voci correnti sull'enorme ricchezza del
Vaticano erano esagerate e che ne veniva data un'immagine distorta.
Ma qualsiasi giornalista serio che si metta a fare un po' di conti
scoprirà che due più due non fanno quattro, e neanche ventidue,
bensì una cifra che ammonta a centinaia di milioni di dollari.
Per
quel che riguarda la sua immagine pubblica, il Vaticano preferisce
dar l'impressione di essere un'organizzazione con entrate modeste e
spese rilevanti. La Città del Vaticano, per esempio, emette nuovi
francobolli e serie speciali più volte all'anno. Così facendo non
si comporta in modo diverso da altri piccoli Stati che emettono e
vendono francobolli per accrescere la loro disponibilità di divise
estere. Ma i francobolli vaticani sono particolarmente ricercati e i
proventi delle vendite si avvicinano a quattrocentomila dollari
l'anno.”
[...]
“Sul
delicato argomento delle finanze vaticane c'è un'assoluta carenza
d'informazioni tanto per coloro che sono “dentro” quanto per gli
osservatori esterni. E' stato il Vaticano stesso a volere che fosse
così. Esso ha organizzato i propri affari in modo da impedire che
chicchessia potesse, per ragioni del proprio ufficio, mettere insieme
i tasselli dell'intero mosaico di operazioni finanziarie
innumerevolmente ramificate. C'è stata, a quanto pare, una sola
persona che ha avuto il privilegio di controllare completamente
questo mosaico. Il suo nome è Bernardino Nogara.
Bernardino Nogara |
Gran
parte del merito della riuscita degli affari vaticani a partire dal
1929 va attribuito a questo ex studente di architettura. Nogara diede
prova della sua abilità finanziaria quando ricevette da Pio XI la
responsabilità dell'amministrazione della somma di novanta milioni
di dollari assegnata da Mussolini alla Santa Sede come indennizzo. In
precedenza era stato vice presidente della Banca Commerciale
Italiana, e si era imposto all'attenzione degli ambienti
ufficiali vaticani attraverso Papa Benedetto XV, il quale si era
giovato dei preziosi suggerimenti del Nogara (allora direttore della
filiale di Istanbul della Commerciale) nell'acquisto, a titolo
personale, di titoli dell'impero turco. Posto a capo
dell'Amministrazione speciale di nuova istituzione, il fedele Nogara
ebbe carta bianca, e pur cavando dal proprio cappello molti degli
affari del Vaticano, si rivelò uno straordinario amministratore.
Intraprendendo una politica di investimenti a livello mondiale riuscì
a moltiplicare più volte il capitale iniziale.
Nella
sua politica dei profitti Nogara si attenne a una regola, secondo cui
il programma d'investimento del Vaticano non doveva essere
condizionato da considerazioni religiose. Agli inizi degli anni
cinquanta, per esempio, egli utilizzò i fondi pontifici per
speculare sui buoni del tesoro della protestante Inghilterra, che gli
apparivano più remunerativi di quelli della cattolica Spagna, allora
in grave crisi economica. Morì a ottantotto anni, nel 1958,
lasciando una “metodologia” alla quale si attennero con religiosa
fedeltà i suoi successori, che in tal modo continuarono a realizzare
profitti fantastici.
Il
misterioso Bernardino Nogara era nato a Bellano, sul lago di Como,
nel 1870, lo stesso anno in cui il Regno d'Italia si annetteva
l'ultimo degli Stati pontifici, il cui indennizzo di novanta milioni
di dollari lo stesso Nogara sarebbe in seguito stato chiamato ad
amministrare.”
[…]
“Figura
taciturna e sfuggente, Nogara ebbe il suo incarico presso il Vaticano
da un papa che non s'intendeva gran che di affari. Non aveva alcun
obbligo di conseguire profitti immediati e fu libero d'investire i
capitali nel mondo intero come meglio sembrasse opportuno (e senza
troppe preoccupazioni di tasse). Egli seppe fare il miglior uso di
simili privilegi.
Nogara
basò le sue operazioni sugli attendibili rapporti che pervenivano
dalla fitta rete di rappresentanti diplomatici vaticani dislocati in
tutto il mondo. Vescovi e laici bene informati fornivano notizie,
spesso attraverso la “linea calda” vaticana, che nessun banchiere
al mondo avrebbe mai potuto ottenere a nessun prezzo.
Nel
corso della sua carriera Nogara era diventato uno specialista in
fatto di oro. Così, per un lungo periodo, dopo aver preso possesso
della sua carica, si dedicò a un assiduo cambio di lingotti in
monete e di monete in lingotti, seguendo un criterio che, in mancanza
di dettagli precisi, apparse poco comprensibile ma che di fatto si
rivelò il più delle volte estremamente redditizio. Animato da
un'incrollabile fiducia nel prezioso metallo, l'accorto Nogara spese
ventisei milioni e ottocentomila dollari nell'acquisto di oro dagli
Stati Uniti al prezzo ufficiale di trentacinque dollari l'oncia più
uno 0,25 per cento per spese di manifattura. Negli anni successivi
corse voce che il Vaticano aveva ottenuto l'oro al prezzo speciale di
trentaquattro dollari l'oncia, ma quando questa voce venne
accreditata da una pubblicazione dell'ONU, il Dipartimento del Tesoro
americano la smentì una volta per tutte nell'aprile del 1953,
affermando che il Vaticano aveva fatto l'acquisto al prezzo corrente.
In realtà una parte dell'oro, per il valore di cinque milioni di
dollari, fu rivenduta agli Stati Uniti, per cui l'ammontare
complessivo dell'operazione si ridusse a ventun milioni e
ottocentomila dollari. L'oro del Vaticano, in forma di lingotti, è
depositato presso la Banca Federale degli Stati Uniti.
Una
delle speculazioni favorite di Nogara comportava una serie di
intricatissime manovre finanziarie che mettevano a prova l'elasticità
dei conti vaticani nelle Banche svizzere. Non è facile spiegare il
meccanismo di queste manovre, né comprenderlo di primo acchito.
Comunque si trattava di questo: Nogara ordinava alla sua banca
svizzera di depositare una certa somma di danaro a New York a nome
della Banca stessa la quale poi, sempre su mandato di Nogara,
chiedeva di fare un prestito in dollari a una Società italiana di
proprietà del Vaticano. Questa Società, a cui il danaro apparteneva
in prima istanza, addebitava a se stessa, sul conto svizzero,
gl'interessi che doveva pagare in America. In tal modo Nogara poteva
in tutta sicurezza (e segretezza) investire il danaro del Papa senza
alcuna interferenza da parte delle autorità italiane, in un periodo
in cui il governo imponeva severe limitazioni alla circolazione delle
divise.
Si
può affermare senza esagerazione che Nogara, mosso senza dubbio da
profonde motivazioni religiose, impiegò le sue magiche arti di
finanziere in modo da diventare l'”arma segreta” del Vaticano.
Dittatore dei fondi vaticani, non doveva render conto a nessuno,
nemmeno al comitato dei cardinali che in teoria sovrintendevano al
funzionamento dell'Amministrazione Speciale. Neanche Pio XI aveva una
idea chiara delle operazioni di Nogara. Ma il Papa aveva fiducia in
lui, una fiducia indiscutibilmente ben riposta.
Quando
nel 1939 salì al trono pontificio, col nome di Pio XII, il cardinale
Eugenio Pacelli, la notoria diffidenza ch'egli nutriva nei confronti
di Nogara fece nascere alcune chiacchiere sull'Amministrazione
Speciale. Si mormorava, fra l'altro, che l'ingente somma incassata
col Trattato del Laterano fosse praticamente svanita. Uno dei primi
atti dell'amministrazione del nuovo papa fu di nominare una
commissione privata d'inchiesta, composta di cardinali esperti nelle
più complesse questioni di banca e di finanza internazionale. Fu
fatta un'inchiesta approfondita.
Contrariamente
a quel che molti si erano compiaciuti di sospettare, Nogara aveva
investito i fondi del Vaticano con oculata saggezza. Infatti il
capitale iniziale si era moltiplicato tante volte che il Vaticano,
alla vigilia della seconda guerra mondiale, si trovò a essere più
ricco di quanto non fosse mai stato in precedenza. Dopo il risultato
dell'inchiesta, Nogara divenne assolutamente intoccabile.
Assai
scarsa l'aneddotica su questa volpe della finanza, dal momento che
egli riuscì ad avvolgere di mistero quasi tutte le proprie azioni,
anche nei confronti dei superiori, che implicitamente gli davano
fiducia. “Nogara”, disse una volta un'eminente personalità
vaticana, “è un uomo che non parla mai con nessuno; al Papa stesso
non dice gran che, e, suppongo, ancor meno a Dio. Però ad ascoltarlo
se ne trae gran profitto.”
Si
può riferire, tuttavia, di un infortunio toccato a Nogara,
infortunio che comportò un incidente col Governo britannico. Nel
1948 l'Organizzazione cattolica per gli aiuti alla Germania era stata
rifornita di numerosi carichi di frumento che il Vaticano si era
procurato in Argentina. Quando Nogara cercò di pagare il frumento
con le sterline depositate in Inghilterra, incontrò l'opposizione
della Whitehall che, in relazione al periodo di austerità
attraversato dal Paese, aveva imposto le consuete restrizioni alla
circolazione di liquido. Londra, irritata, intavolò trattative con
la Santa Sede; Nogara dové piegare la testa e accettare di investire
i depositi inglesi in buoni del tesoro. Ma per quest'uomo dalle mani
d'oro anche l'apparente sconfitta si risolse in una vittoria. A lungo
andare gl'investimenti in buoni del tesoro britannici si rivelarono
molto redditizi. Comunque, questo compromesso resta negli annali come
uno dei pochi casi in cui Nogara si vide forzare la mano.
Ritiratosi
nel 1956 per ragioni di salute, Nogara continuò a servire il
Vaticano prodigando consigli, a titolo privato, ai suoi successori.
Non c'è alcun dubbio ch'egli abbia assolto col massimo scrupolo i
compiti affidatigli, come non c'è dubbio che abbia trasmesso non
solo la propria esperienza ma anche un apparato finanziario ben
oliato e perfettamente funzionante. La segretezza da cui la sua
attività era stata circondata fece sì che la sua morte, avvenuta
nel novembre del 1958, non avesse che scarsissimo rilievo sulla
stampa. Eppure nessun'altra persona, neanche tra papi e cardinali,
diede mai tanto slancio e robustezza alle finanze vaticane quanto
Bernardino Nogara, l'uomo invisibile che, destinato a diventare
architetto, era riuscito a costruire un impero finanziario.
Forse
è in un documento lasciato ai suoi successori, nel quale sono
enumerati i punti fondamentali della sua strategia, che il ritratto
dell'uomo appare meglio delineato. Ho avuto tra le mani questo
“Credo di Nogara” e ne trascrivo gli otto punti:
- Ampliate le dimensioni della vostra società: in tal modo sarà più facile ottenere credito sui mercati dei capitali.
- Ampliate le dimensioni della vostra società: attrezzature efficienti consentono la riduzione dei costi industriali e la ripartizione delle spese generali.
- Ampliate le dimensioni della vostra società: in tal modo si economizzerà sui trasporti.
- Ampliate le dimensioni della vostra società: in tal modo potrete investire capitali nella ricerca scientifica e conseguire tangibili risultati finanziari.
- Ampliate le dimensioni della vostra società: così potrete organizzare e impiegare il personale nel modo più razionale.
- Ampliate le dimensioni della vostra società: in tal modo i controlli fiscali da parte del governo diventeranno difficili, a tutto vostro vantaggio.
- Ampliate le dimensioni della vostra società: bisogna offrire al cliente il prodotto tecnicamente migliore.
- Ampliate le dimensioni della vostra società: così saranno possibili ulteriori ampliamenti.
Ma
se il nome di Bernardino Nogara è intoccabile, non tutti gli uomini
di fiducia del Vaticano riuscirono a evitare disdicevoli
compromissioni. Più o meno all'epoca in cui Nogara era alle prese
con le difficoltà del frumento argentino, un'altra personalità
vaticana si trovò al centro di uno scandalo che ebbe vaste
ripercussioni. L'organismo coinvolto fu l'Amministrazione del
Patrimonio della Santa Sede che era stata fondata nel 1878 con il
compito di sovraintendere alla gestione della proprietà del
Vaticano.
Monsignor
E.P. Cippico, un giovane prelato addetto agli archivi vaticani, si
trovò coinvolto in una serie di operazioni finanziarie che dovevano
portarlo alla rovina. Alla fine della guerra molti Paesi, tra cui
l'Italia, attuavano notevoli restrizioni in materia di circolazione
di capitali. Alcuni operatori economici italiani, desiderosi di
trasferire del denaro in Svizzera e in altri Paesi, sia per
investimenti che per acquisto di prodotti da importare, scoprirono
che queste operazioni potevano essere fatte attraverso
l'Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede, al riparo da ogni
restrizione vigente in Italia. Monsignor Cippico, uomo dal
temperamento gioviale che amava frequentare gli ambienti dell'alta
società, e che aveva agganci personali con l'Amministrazione, servì
da tramite fra questa e coloro che desideravano esportare i propri
capitali. Inutile dire che egli divenne estremamente popolare.
Tutto
andò bene fino al momento in cui Cippico, uscendo dal proprio
orticello, si arrischiò a partecipare alla produzione di un film su
San Francesco d'Assisi. Per far fronte alle ingenti spese di
produzione, Cippico cominciò ad estendere il cerchio delle sue
discutibili operazioni. Ma la lavorazione del film non andò mai
oltre le prime inquadrature. Intanto si accresceva il numero di
coloro che, avendo affidato a Cippico i loro contanti per farli
trasferire all'estero, non riuscivano a vedere alcun risultato da
queste operazioni, e il terreno cominciò a franare sotto i piedi
dell'intraprendente monsignore. Arrestato dalla gendarmeria
pontificia, fu sottoposto ad un'inchiesta in Vaticano, riconosciuto
colpevole, sospeso a divinis e incarcerato. In seguito fu giudicato
anche da un tribunale italiano e condannato per truffa; dopo il
processo di appello fu rimesso in libertà. Le persone che gli
avevano affidato i propri averi promossero azione giudiziaria contro
il Vaticano, e una per volta vennero tutte rimborsate.
Da
quando ha ricevuto questa dura lezione dal mondo degli affari, il
Vaticano è diventato fin troppo prudente nella scelta delle persone
a cui affidare responsabilità finanziarie. L'uomo scelto da Papa
Paolo (nel gennaio 1968) per sovraintendere alla Prefettura degli
affari economici, di nuova creazione, fu il cardinale Egidio
Vagnozzi, già rappresentante del Papa a Washington per nove anni.
Vagnozzi, ultrasessantenne, sostituì il cardinale Angelo dell'Acqua,
che era stato posto a capo del “ministero delle finanze” non più
di quattro mesi prima.
Il Cardinale Egidio Vagnozzi |
I
due “vice” di Vagnozzi al nuovo “ministero delle finanze”
incaricato di preparare il bilancio annuale del Vaticano sono
entrambi settantenni: il cardinale Joseph Beran, arcivescovo di
Praga, tenuto per sedici anni in carcere dal governo comunista del
suo Paese, e il cardinale Cesare Zerba, un teologo italiano che per
ventisei anni è stato prima vicesegretario e poi segretario della
Congregazione dei Sacramenti.
Ordinato
sacerdote nel 1928 a soli ventitré anni, grazie a una speciale
dispensa papale, Vagnozzi ha svolto all'estero la maggior parte della
sua carriera. Quattro anni dopo l'ordinazione fu inviato negli Stati
Uniti per lavorare nell'ufficio di Washington della Delegazione
Apostolica. Si disse poi che il viaggio che lo portò in America era
destinato ad avere una significativa influenza sulla sua carriera,
poiché sulla sua stessa nave viaggiava l'allora monsignor Francis
Spellman cui era stata assegnata la diocesi di Boston. Il legame di
amicizia e di reciproco rispetto fra i due uomini rimase inalterato
fino alla morte di Spellman.
Vagnozzi
rimase negli Stati Uniti per dieci anni prima di essere trasferito in
Portogallo, sempre con la qualifica di consigliere aggiunto
nell'ufficio della Nunziatura. Da Lisbona passò a Parigi, dove entrò
in confidenza col Nunzio Angelo Roncalli (il futuro Giovanni XXIII) e
nel 1948 ebbe l'incarico di condurre in India trattative
confidenziali per lo scambio di ambasciatori fra il governo di Nuova
Delhi e la Santa Sede. Un anno dopo fu inviato come Delegato
apostolico nelle Filippine.
Grazie
alla sua opera, nel 1951 furono allacciate relazioni diplomatiche con
la Repubblica delle Filippine, e quindi egli rimase come primo Nunzio
pontificio fino al 1958, quando Giovanni XXIII pensò di mandarlo
nuovamente negli Stati Uniti per assumere l'incarico di Delegato
Apostolico lasciato vacante dal cardinale Amleto Cicognani diventato
Segretario di Stato. A differenza della maggior parte dei suoi
predecessori a Washington, Vagnozzi, diventato ormai un appassionato
studioso della cultura yankee e ammiratore del comportamento
americano, compì numerosi viaggi in tutti i cinquanta Stati,
concludendo i suoi nove anni di servizio con una visita in Alaska
dove portò benedizioni, danaro e aiuti materiali da Papa Paolo alle
vittime delle alluvioni del 1964 in Anchorage, Kodiak e Seward.
Benché
sia laureato in filosofia e in teologia, il cardinal Vagnozzi è un
appassionato studioso dell'economia americana. Con l'aiuto del
cardinale Spellman si è costantemente tenuto aggiornato sul mondo
degli affari e della finanza degli Stati Uniti. Non senza ragione,
perciò, è opinione corrente che nell'ambito vaticano non esista,
riguardo all'andamento degli affari americani, persona fornita di più
solida e incisiva preparazione del nuovo “ministro delle finanze”
del Papa.
A
parte il trio cardinalizio che sovrintende alle ricchezze vaticane,
la Chiesa deve anche contare sui suoi uomini di fiducia, che pur
essendo laici si occupano degl'interessi del Vaticano. La cerchia dei
laici che godono della confidenza del papa è necessariamente
ristretta, limitandosi a quei pochi eletti che solitamente
rappresentano gli affari vaticani al di là delle Mura.
Vediamo
di conoscere alcuni di questi uomini e in che modo s'inseriscono
nell'ordine delle cose.
Una
delle chiavi per sapere se il Vaticano si è introdotto in una
determinata Società è fornita dalla lista dei componenti del
consiglio di amministrazione. L'interesse della Chiesa nei complessi
industriali o Società finanziarie è rivelato dalla presenza, in una
o altra carica, di uomini che sono notoriamente agenti del Vaticano.
“Agenti” non è forse la parola più simpatica per definire gli
appartenenti alla ristretta cerchia “laica” del Vaticano, ma è
la più adatta a qualificarli. Quando un nome “vaticano” appare
nel consiglio di amministrazione, per esempio, di un'impresa che
gestisce un servizio pubblico, si può essere certi che il Vaticano
ha una cointeressenza, grande o piccola, in quell'impresa. E spesso è
dal prestigio del nome dell'”agente” che si può ricavare una
prima indicazione sull'entità degl'interessi del Vaticano.
Per
esempio, in nome del Enrico Galeazzi apparve in molti consigli di
amministrazione fino al momento in cui, nel 1968, egli non rassegnò
le dimissioni dalla carica di delegato speciale della Pontificia
Commissione dello Stato della Città del Vaticano, nonché da quelle
di direttore generale dei servizi tecnici e direttore generale dei
servizi economici.
Il
Conte Galeazzi con il Papa Pio XII
La
sua presenza indicava regolarmente che egli era in quel consiglio di
amministrazione per servire gl'interessi vaticani. Il conte Galeazzi
continuò tuttavia a lavorare per il Vaticano in qualità di
architetto dei Sacri Palazzi Apostolici e di membro della Commissione
per la conservazione dei monumenti storici e artistici della Santa
Sede. Nel marzo del 1968 il Galeazzi divenne direttore generale della
Società Generale Immobiliare, l'impresa edilizia controllata
dalla Santa Sede (di cui si parlerà nel cap. VII), dopo esserne
stato vice presidente a partire dal 1952. Al momento in cui scriviamo
il suo nome figura ancora nei consigli di amministrazione di alcune
altre società italiane.
Galeazzi
era intimo amico del cardinale Spellman: la sua invidiabile carriera
vaticana fu dovuta in gran parte al defunto arcivescovo di New York,
che lo aveva conosciuto quando risiedeva a Roma. Fu attraverso
Spellman, che lo aveva designato come rappresentante a Roma dei
Cavalieri di Colombo, che Galeazzi conobbe Papa Pio quando questi era
ancora il cardinal Pacelli Segretario di Stato. Ingegnere di
professione, Galeazzi diventò amico fidato di Pacelli, e i due
parteciparono insieme a numerose missioni per conto del Vaticano: a
Buenos Aires nel 1934, a Lourdes nel '35, a Parigi e a Budapest
alcuni anni dopo, a New York e Washington poco prima che Pacelli
scendesse al soglio pontificio.
Sotto
Pio XII Galeazzi divenne Governatore reggente della Città del
Vaticano e conservò la carica fini agl'inizi del 1968. Papa Pio gli
affidò anche gli incarichi di Direttore generale dei servizi
economici e di Intendente della Fabbrica di San Pietro, il che lo
rese responsabile della conservazione delle proprietà della Chiesa.
Grazie alla sua eccellente conoscenza dell'inglese, fu spesso pregato
da Spellman d'intrattenere gli uomini d'affari americani, suoi amici,
che venivano a Roma: fra gli altri Joseph Kennedy di Boston, padre
del defunto presidente degli Stati Uniti. Essendo in stretto contatto
con il papa, poté spesso fissare gli appuntamenti per Spellman:
poiché questi veniva almeno tre volte l'anno a Roma, e ogni volta
aveva un'udienza privata col papa (spesso era invitato per il tè,
onore estremamente raro), vi è da supporre che l'amicizia tra
Spellman e Galeazzi non sia stata priva di influenza sulla storia del
Vaticano di questo dopoguerra. Taluni ammiratori della perfetta
autorevolezza del conte Galeazzi solevano irriverentemente definirlo
“il solo papa laico nella storia del Vaticano”. Che il suo nome
sia quindi profondamente connesso con gli interessi vaticani in
Italia non è dunque cosa che desti sorpresa.
Come
non sorprende che quello di Pacelli sia un altro “nome” vaticano.
Se uno dei tre principi Pacelli, tutti parenti di Pio XII, compare
nello staff direttoriale di una determinata società, si è
autorizzati a pensare che il Vaticano vi ha una sua partecipazione
non piccola. A cominciare dalla Società Generale Immobiliare,
della quale il conte Galeazzi è attualmente Presidente e membro del
consiglio di amministrazione, il nome del principe Carlo Pacelli
appare legato a un numero di Società almeno pari a quello in cui
figura il nome di Galeazzi. Il principe Giulio Pacelli è nello staff
dell'Italgas (Società che ha in concessione la fornitura del
gas a trentasei città italiane), mentre il principe Marcantonio
Pacelli è nel consiglio di amministrazione non solo dell'Immobiliare
ma anche, e in posizioni di rilievo, di numerose altre imprese.
Altri
nomi vaticani, influenti in maggiore o minor misura negli affari
pontifici, sono quelli di Luigi Gedda (ex presidente dell'Azione
Cattolica), del conte Paolo Glumensthil (cameriere segreto di cappa e
spada), Carlo Pesenti (Presidente dell'Italcementi e dirigente del
nuovo gruppo bancario vaticano chiamato Istituto Bancario Italiano),
Antonio Rinaldi (vice segretario della Camera Apostolica e presidente
di una Società finanziaria privata, l'Istituto Centrale
Finanziario), Luigi Mennini (titolare di sei importanti incarichi
vaticani), Massimo Spada (avvocato e già segretario amministrativo
dell'Istituto per le Opere di religione, ora soppresso.)
Sull'efficienza
dell'amministrazione vaticana fu condotto anni fa una accurato studio
ad opera dell'American Management Audit, un istituto
specializzato nell'analisi della conduzione di molte imprese d'affari
in tutto il mondo. Il Vaticano fu classificato in modo
straordinariamente lusinghiero, ottenendo un punteggio di “categoria
A”: 650 punti (su un massimo di 700) per l'efficienza operativa,
2000 su 2100 per l'efficienza direttiva, 700 su 800 per l'efficienza
della politica fiscale. Una quotazione eccezionale, se paragonata a
quella di altri complessi finanziari. Il Management Audit
osservava che il Vaticano era in grado di dar dei punti a molte altre
Società, soprattutto per l'accortezza nell'evitare l'errore di
mostrare “eccessivo zelo una volta raggiunta una posizione
d'influenza”. Invero la capacità del Vaticano di amministrare i
propri affari può essere assunta a modello. E probabilmente ciò è
dovuto alla perdurante influenza di Nogara, la cui ombra, a più di
dieci anni dalla sua morte, continua a proiettarsi sul trust
dei cervelli dell'attuale successore di Pietro.
In
una conferenza stampa tenuta poco prima di morire, il cardinal
Tardini smentì i rapporti circolanti sull'estensione del patrimonio
del Vaticano e affermò (come abbiamo già riportato in questo
capitolo) che le dicerie sulle ricchezze vaticane erano esagerate.
Tardini, ben noto alla cittadinanza romana come “il prete senza
peli sulla lingua”, confidò ai giornalisti raccolti intorno a lui
che a suo parere la politica di Nogara, di investire in Italia
piuttosto che in altri Paesi la maggior parte dell'indennizzo
ricevuto col Trattato del Laterano, era stato un errore.
“Noi
pensavamo di aiutare l'Italia”, dichiarò Sua Eminenza, “e invece
siamo sempre stati accusati di voler mettere le mani sul mondo
finanziario italiano”.
P.S.
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