Oggi vi parliamo di un personaggio misconosciuto, Giuseppe D’Urso,
scomparso nel 1996, docente universitario e presidente della sezione
siciliana dell’Inu (l’Istituto Nazionale di Urbanistica), fondatore
della storica associazione I Siciliani e uno dei principali esponenti del movimento antimafia. Wikipedia lo degna appena di qualche riga, mentre del divo Roberto Saviano
si raccontano vita, morte e miracoli.
Ritornando a Giuseppe D'Urso, Wikipedia continua in quelle 4 righe dicendo che egli "è ricordato per le sue prime denunce al CSM e alle massime cariche dello Stato contro la mafia, e quel sistema di potere che egli definì col termine «massomafia»."
D'Urso, al contrario del virtuale Saviano, era uno che si batteva sul campo.
Il sociologo Pietro Palau Giovannetti, Presidente dell'Onlus Movimento per la Giustizia Robin Hood, afferma che fu D'Urso a coniare per primo il termine "massomafie", che vide come "il connubio fra mafie, massonerie e sistema giudiziario, quale collante del controllo politico-economico-mafioso del territorio, denunciando inascoltatamente i cavalieri catanesi, i magistrati corrotti al loro servizio, gli appalti e le connivenze politiche-affaristiche, indicandoci che le mafie, ieri come oggi, non sono una patologia tipica delle Regioni del Sud Italia, ma un vero e proprio «braccio armato» di un regime corrotto, un «male endemico» diffuso e istituzionalizzato, protetto e organizzato su basi ben precise, espressione di una parte consistente della classe dirigente locale e nazionale" [1] Sempre Pietro Palau Giovannetti, in un'altro articolo riafferma:
Ritornando a Giuseppe D'Urso, Wikipedia continua in quelle 4 righe dicendo che egli "è ricordato per le sue prime denunce al CSM e alle massime cariche dello Stato contro la mafia, e quel sistema di potere che egli definì col termine «massomafia»."
D'Urso, al contrario del virtuale Saviano, era uno che si batteva sul campo.
Il sociologo Pietro Palau Giovannetti, Presidente dell'Onlus Movimento per la Giustizia Robin Hood, afferma che fu D'Urso a coniare per primo il termine "massomafie", che vide come "il connubio fra mafie, massonerie e sistema giudiziario, quale collante del controllo politico-economico-mafioso del territorio, denunciando inascoltatamente i cavalieri catanesi, i magistrati corrotti al loro servizio, gli appalti e le connivenze politiche-affaristiche, indicandoci che le mafie, ieri come oggi, non sono una patologia tipica delle Regioni del Sud Italia, ma un vero e proprio «braccio armato» di un regime corrotto, un «male endemico» diffuso e istituzionalizzato, protetto e organizzato su basi ben precise, espressione di una parte consistente della classe dirigente locale e nazionale" [1] Sempre Pietro Palau Giovannetti, in un'altro articolo riafferma:
"Il termine sincretico «massomafie» non viene quasi mai utilizzato dai mass media e, stranamente, anche dal ben informato Saviano, nonostante sia stato coniato da uno dei più eminenti studiosi del fenomeno, ovvero dal Prof. Giuseppe D'Urso, eroe sconosciuto, Presidente per la Sicilia dell'Istituto Nazionale di Urbanistica e docente universitario che, dagli anni '80, per primo, grazie alle sue ricerche, svolte in ambito istituzionale, svelò lo stretto connubio fra mafia, massoneria e sistema giudiziario, quale «collante» del controllo politico-economico-mafioso del territorio, denunciando inascoltatamente i cavalieri catanesi, i magistrati corrotti al loro servizio, gli appalti e le connivenze politiche-affaristiche, indicandoci che le mafie, ieri come oggi, non sono una patologia tipica delle Regioni del Sud Italia, ma un vero e proprio «braccio armato» di un regime corrotto, un «male endemico» diffuso e istituzionalizzato, protetto e organizzato su basi ben precise, espressione di una parte consistente della classe dirigente locale e nazionale. Quella che, negli ultimi decenni, sino alle più recenti vicende sulla loggia P3, è emerso essere, in maniera sempre più nitida, collegata a doppio filo, a consorterie di stampo massonico, cricche, gruppi occulti di pressione, Opus Dei, Cavalieri di Malta, Illuminati, Bilderberg... ["Massomafia: "Mi dicevano di lasciar perdere". In onore di Giuseppe D'Urso"]"Pietro Palau Giovannetti, tra i fondatori del "Movimento per la Giustizia Robin Hood" e della rete di "Avvocati senza Frontiere", è un uomo scomodo che ha subito "oltre 750 procedimenti penali con le accuse più disparate e capziose per pseudoreati di natura ideologica, scaturenti dalle sue stesse denunce, mai esaminate, o dai suoi taglienti articoli giornalistici"; forse perchè, anch'egli, ha il coraggio di citare esplicitamente quelli che sono i veri poteri forti: L'Opus Dei, i Cavalieri di Malta, gli Illuminati, il Bilderberg...rifacendosi alle inchieste di D'Urso. D'Urso introdusse anche la definizione di “alta criminalità organizzata”, eccola:
“Gruppo sociale chiuso che, nell’ambito di un sistema economico, articolandosi in una complessità di sottogruppi, ha come fine l’accumulo e la gestione per i propri affiliati di ricchezze non lavorative: il “gruppo” si avvale di strumentazione per la violenza fisica e l’intimidazione morale, lega i suoi appartenenti con regole di subordinazione e di morte ed ha un processo di adeguamento continuo a quello del sistema economico a cui si riferisce“.[2]Per comprendere il fenomeno dell'alta criminalità organizzata D'Urso introdusse questo schema riassuntivo:
a) criminalità economica organizzata
- mafia (Sicilia)
- ‘ndrangheta (Calabria)
- camorra (Campania)
- fibbia (Puglia)
- banditismo (Sardegna)
b) servizi segreti deviati
- dell’est (Patto di Varsavia)
- dell’ovest (Patto Atlantico)
- del Terzo Mondo (Paesi non allineati)
c) criminalità politica organizzata
- terrorismo rosso
- terrorismo nero
d) poteri occulti laici
- massoneria bianca ((Ovest-Est-Terzo Mondo)
- massoneria nera (nei Paesi dell’Ovest)
- massoneria rossa (nei Paesi dell’Est)
e) poteri occulti religiosi
- cattolici (internazionali)
– Opus Dei
– Gesuiti laici
– Cavalieri di Malta
- altre religioni (terzo mondo)
Egli diceva che "Bisogna individuare l’intera figura della “piovra” e non
solamente uno dei suoi innumerevoli tentacoli (il quale anche se
asportato, col tempo si riforma così come era)." Oggi, se fosse ancora in vita, Giuseppe D'Urso sarebbe stato incasellato nella categoria dei "complottisti". A
proposito di questa Piovra è interessante infatti notare quelli che
egli definiva come poteri occulti religiosi, dei quali noi
"complottisti" ci stiamo occupando da un po di tempo nel nostro blog: i Cattolici internazionali, i Gesuiti laici, i Cavalieri di Malta e l'Opus Dei.
Questi gruppi, secondo le nostre indagini, appaiono quelli dominanti
dell'intero assetto dell'alta criminalità organizzata denunciata da
D'Urso. A questi gruppi ci sentiamo di aggiungere anche una frangia di ebrei sionisti strettamente collegata ai gruppi religiosi sopra esposti.
Giovannetti a causa delle sue inchieste "complottiste" che ripercorrono
le indagini di D'Urso si è anche visto recapitare delle richieste di perizie psichiatriche:Pietro Palau Giovannetti |
"Tra i tanti "procedimenti-farsa" sollecitamente istruiti a suo carico a tempi di giustizia scandinava dalle Procure e Corti di Appello di mezza Italia (da Torino, Treviso, Milano, Brescia, Trento, Trieste, Venezia, Alessandria, Bologna, Firenze, Roma, Palmi, Reggio Calabria), si registrano anche due singolari richieste di "perizie psichiatriche", da parte delle Procure di Milano e di Torino, nonché dalla Procura Generale di Milano, proprio come in uso nelle dittature dei Paesi dell'Est."Lo stesso Giovannetti afferma che per il suo impegno non gradito ai poteri forti ha subito anche una condanna:
"[Il mio] Impegno non [è] gradito ai poteri forti, a fronte del quale io stesso sono stato ritorsivamente condannato ad oltre 10 anni di carcerazione per insussistenti reati ideologici, nel tentativo di soffocare una voce scomoda che denuncia le collusioni della magistratura di regime con le massomafie. Fatti che svelano la vera natura e finalità del sistema giudiziario italiano, inteso come mero strumento d'oppressione, repressione e sopraffazione dei diritti umani, utilizzato per legittimare gli abusi di autorità commessi da soggetti pubblici e privati in posizione dominante o da governi corrotti asserviti alla criminalità massomafiosa e, non già, come «limite al potere» e difesa delle libertà e dell'eguaglianza."
Qui sotto vi riportiamo l'intero articolo di Pietro Palau Giovannetti dal titolo L’EROE SCONOSCIUTO CHE PER PRIMO RIVELO’ INASCOLTATO CHE «STATO E MASSOMAFIE» SONO UNA «COSA SOLA», tratto dal sito Avvocati Senza Frontiere.
L’EROE SCONOSCIUTO CHE PER PRIMO RIVELO’ INASCOLTATO CHE «STATO E MASSOMAFIE» SONO UNA «COSA SOLA».
di Pietro Palau Giovannetti (sociologo)
Il termine sincretico «massomafie», quasi mai utilizzato dai media, è stato coniato negli anni ’80 dal Prof. Giuseppe D’Urso,
docente universitario e presidente per la Sicilia dell’Istituto
Nazionale di Urbanistica che, per primo, grazie alle sue ricerche,
svolte in ambito istituzionale, svelò il connubio fra mafie, massonerie e sistema giudiziario, quale collante del controllo politico-economico-mafioso del territorio, denunciando inascoltatamente i cavalieri catanesi, i magistrati corrotti al loro servizio, gli appalti
e le connivenze politiche-affaristiche, indicandoci che le mafie, ieri
come oggi, non sono una patologia tipica delle Regioni del Sud Italia,
ma un vero e proprio «braccio armato» di un regime corrotto, un «male endemico» diffuso e istituzionalizzato, protetto e organizzato su basi ben precise, espressione di una parte consistente della classe dirigente locale e nazionale. Quella che, negli ultimi decenni, sino alle più recenti vicende sulla P3, è
emerso essere, in maniera sempre più nitida, collegata a doppio filo,
a consorterie occulte, dalla Massoneria (deviata) all’Opus Dei, dal
Bilderberg ai Cavalieri di Malta, etc…
A partire dagli anni ’60, studiando gli investimenti di capitali in
grandi operazioni immobiliari, soprattutto acquisti di terreni e
costruzioni di opere pubbliche, il Prof. D’Urso denunciò
instancabilmente, sino alla morte, anche nel corso di assemblee
sindacali a livello nazionale, dibattiti e interviste, l’esistenza di
poteri occulti in grado di condizionare la magistratura e la vita
democratica.
Fu lui, scrive Riccardo Orioles, a postulare per primo, e a
descrivere con precisione, il legame organico fra mafie e massonerie, ad
analizzarne le strutture, a denunciarne la strategia. Tutti gli altri,
vennero dopo. E quando, faticosamente, il concetto di “massomafia” – il
termine da lui coniato nei primi anni Ottanta – divenne senso comune,
allora e solo allora la lotta ai poteri mafiosi poté cominciare davvero.
Andreotti, Licio Gelli, i cavalieri catanesi ebbero nel suo cervello il
nemico piu’ pericoloso. ["La raison tonne en son cratère", Riccardo
Orioles, in “Allonsanfan”, libro elettronico].
Il Prof. D’Urso, fondatore della storica Associazione “I Siciliani“,
è infatti ricordato come il principale punto di riferimento del
movimento antimafia di Catania e di Palermo, poiché non si era limitato
ad individuare la crucialità del rapporto tra massoneria e mafia, ma
l’aveva tradotta in puntuali atti di denuncia all’Autorità giudiziaria, a
cui per lunghi anni inascoltato aveva trasmesso l’enorme materiale
probatorio silenziosamente raccolto sulle prove delle irregolarità
amministrative, i misfatti edilizi, gli appalti pubblici pilotati e gli
insabbiamenti da parte della magistratura catanese collusa con mafia,
politica e massoneria.
«Per ogni abuso» – scrive di lui Claudio Fava – «il professor D’Urso
aveva compilato un dossier completo di cifre, nomi, indicazioni di
legge, estratti del Piano regolatore, copie di delibere comunali. Quegli
esposti, con incrollabile perseveranza, forse perfino con un filo di
dolente ironia, erano stati puntualmente spediti all’autorità
giudiziaria. Che per molti anni aveva continuato ad inghiottirli in
silenzio. L’ultimo fascicolo Giuseppe D’Urso aveva preferito invece
farlo trovare sui banchi del Csm. Dentro, in bell’ordine, i promemoria
del professore su tutte le inchieste insabbiate dalla Procura di
Catania: le protezioni accordate, le illegalità compiute, le indagini
depistate. Ma soprattutto c’era il testo del telegramma che D’Urso aveva
spedito “per conoscenza” a ministri e presidenti di mezza Repubblica.
La vertenza Catania di fatto era nata su quelle poche righe di denuncia
civile, sull’intransigente ribellione di un “cittadino qualsiasi.”…».
[“La mafia comanda a Catania”, C. Fava, Laterza, Roma-Bari 1991].
«Per primo» – aggiunge Peppe Sini, responsabile del “Centro di
ricerca per la pace” di Viterbo – «il professor D’Urso aveva individuato
la crucialità del rapporto tra massoneria e mafia. Rapporto, e
decisività, successivamente emersi con grande evidenza: cfr. ad esempio
la “tesi 8″ nel libro di Luciano Violante, «Non è la
piovra. Dodici tesi sulle mafie italiane» [Einaudi, Torino 1994, pp.
169-181]; e varrà la pena di trascrivere qui almeno l’enunciazione di
questa tesi: “Logge massoniche “deviate” costituiscono il tramite più
frequente e più sicuro nei rapporti tra mafia e istituzioni. Per mezzo
di queste logge, in particolare, la mafia cerca di “aggiustare” i
processi che la riguardano. Esponenti delle logge massoniche, a loro
volta, hanno chiesto in diverse occasioni la partecipazione di Cosa
Nostra a vicende criminali ed eversive. Il terreno d’incontro tra la
mafia e queste logge è costituito dai comuni interessi antidemocratici».
[“Esempi per una cultura antimafia: Giuseppe D’Urso”, http://lists.peacelink.it/mafia/msg00042.html ].
Ci piacerebbe sapere, se dopo la scomparsa del professor
D’Urso, avvenuta il 16 giugno 1996, nel generale e servile silenzio di
media e istituzioni, i suoi scritti ed il suo archivio siano stati
ordinati, pubblicati e messi a disposizione degli studiosi, delle
istituzioni e delle associazioni antimafia, oppure se “more solito”
le massomafie che, oltre alla magistratura e alla politica, controllano
anche la cultura dominante e l’informazione, siano riuscite ad
occultare tutto.
Di seguito riportiamo un’intervista esclusiva dell’epoca, rilasciata
dal Prof. D’Urso al settimanale “I Siciliani”, nonché subito dopo, in
calce, un suo interessante intervento, seppure molto schematico, in
occasione dell’assemblea nazionale delle Confederazioni Sindacali Cgil,
Cisl, Uil, che si tenne a Palermo il 15 e 16 ottobre 1982, dopo il
delitto Dalla Chiesa, dal titolo: “Per la democrazia, il lavoro, lo
sviluppo: lotta alla criminalità mafiosa e al terrorismo”.
Tutti gli atti dei lavori vennero in seguito pubblicati ma tra di essi non vi era però singolarmente
traccia delle schede presentate dal Prof. D’Urso sulla necessità di
approfondire l’analisi degli assetti e delle trasformazioni del
territorio, quale strumento formidabile per comprendere, risalendo alle
cause, interconnessioni occulte, intrecci speculativi e per conoscere i
gestori segreti.
MASSOMAFIA. IL TEOREMA. MI DICEVANO DI LASCIAR PERDERE.
da “I Siciliani settimanale”, 19 marzo 1986
Per anni ha denunciato, quasi inascoltato, l’esistenza di un intreccio di interessi illegali tra massoneria nera e mafia, coniando persino un termine inedito, massomafia. Oggi la scoperta della loggia di via Roma conferma le intuizioni del professore Giuseppe D’Urso, docente universitario catanese ed ex dirigente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica. Lo abbiamo intervistato.
- Professore, quando e da cosa nascono le sue intuizioni?
«Nascono da analisi territoriali che a partire dagli anni sessanta vado facendo, per ragioni di studio, in tutta la Sicilia sui capitali investiti in grandi operazioni immobiliari, soprattutto acquisti di terreni e costruzioni di opere pubbliche. La cosa che dapprima mi meravigliò e su cui poi cominciai a riflettere fu la serie di coperture offerte a queste operazioni da personaggi di rilievo della vita politica ed istituzionale siciliana. Ogni volta che cercavo di vedere chiaro in certe speculazioni, ricevevo da parte di questi personaggi – politici, magistrati, professionisti – certi consigli: stare calmo, non interessarmi troppo di certe cose, farmi gli affari miei, insomma. Così, alla fine, mi resi conto che dietro quelle operazioni si muoveva un fronte occulto che collegava tra loro personaggi apparentemente del tutto slegati l’uno dall’altro. A comprendere la natura di questi legami mi aiutò una ricerca dell’università di Catania che si basava sul rinvenimento di una serie di documenti di logge massoniche di quell’epoca ritrovate a Messina. Ne venivano fuori interessantissime considerazioni sui rapporti, esistenti prima del fascismo, tra logge massoniche e mafia. Quello che mi colpì fu il fatto che molti dei nomi citati in quella ricerca si ritrovavano – e si ritrovano ancora oggi – perfettamente inseriti ai posti chiave del potere in Sicilia».
- Una sorta di discendenza di padre in figlio, insomma…
«Proprio così. Approfondii queste coincidenze e mi convinsi dell’esistenza di una serie di interconnessioni tra i vari poteri, le istituzioni, l’imprenditoria, la stampa, la cultura e così via. E il collante era proprio la massoneria, alla quale aderiscono molti dei personaggi eccellenti della società siciliana».
- Quando si parla di massoneria la verità viene a galla molto, troppo lentamente. Perché?
«Esiste una volontà politica di mettere tutto a tacere. Io per esempio mi sono molto meravigliato del fatto che la Commissione sulla P2 non abbia pubblicato gli elenchi di tutti i massoni italiani. Alcuni commissari hanno barattato la loro adesione alla relazione Anselmi in cambio della segretezza di questi elenchi; e tra coloro che si sono opposti alla pubblicazione dei nomi ci sono alcuni politici siciliani di spicco, come il socialista Salvo Andò e il senatore democristiano Calarco».
- A Palermo una parte di verità è venuta a galla dopo la scoperta della loggia di via Roma. E a Catania?
«Anche a Catania esistono delle logge che attraversano trasversalmente i partiti di governo, le istituzioni, la stampa cittadina, l’imprenditoria. Un comitato d’affari, insomma, che da venti anni governa di fatto la città. Se proviamo ad immaginare uno scenario non troppo fantastico, possiamo assegnare il ruolo di gran maestro all’onorevole democristiano Nino Drago, probabilmente la vera testa pensante di questo comitato. Ogni tanto c’è un ricambio di uomini, ma i metodi restano sempre gli stessi. E questi vengono applicati, da altri uomini, in tutta la Sicilia».
Per anni ha denunciato, quasi inascoltato, l’esistenza di un intreccio di interessi illegali tra massoneria nera e mafia, coniando persino un termine inedito, massomafia. Oggi la scoperta della loggia di via Roma conferma le intuizioni del professore Giuseppe D’Urso, docente universitario catanese ed ex dirigente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica. Lo abbiamo intervistato.
- Professore, quando e da cosa nascono le sue intuizioni?
«Nascono da analisi territoriali che a partire dagli anni sessanta vado facendo, per ragioni di studio, in tutta la Sicilia sui capitali investiti in grandi operazioni immobiliari, soprattutto acquisti di terreni e costruzioni di opere pubbliche. La cosa che dapprima mi meravigliò e su cui poi cominciai a riflettere fu la serie di coperture offerte a queste operazioni da personaggi di rilievo della vita politica ed istituzionale siciliana. Ogni volta che cercavo di vedere chiaro in certe speculazioni, ricevevo da parte di questi personaggi – politici, magistrati, professionisti – certi consigli: stare calmo, non interessarmi troppo di certe cose, farmi gli affari miei, insomma. Così, alla fine, mi resi conto che dietro quelle operazioni si muoveva un fronte occulto che collegava tra loro personaggi apparentemente del tutto slegati l’uno dall’altro. A comprendere la natura di questi legami mi aiutò una ricerca dell’università di Catania che si basava sul rinvenimento di una serie di documenti di logge massoniche di quell’epoca ritrovate a Messina. Ne venivano fuori interessantissime considerazioni sui rapporti, esistenti prima del fascismo, tra logge massoniche e mafia. Quello che mi colpì fu il fatto che molti dei nomi citati in quella ricerca si ritrovavano – e si ritrovano ancora oggi – perfettamente inseriti ai posti chiave del potere in Sicilia».
- Una sorta di discendenza di padre in figlio, insomma…
«Proprio così. Approfondii queste coincidenze e mi convinsi dell’esistenza di una serie di interconnessioni tra i vari poteri, le istituzioni, l’imprenditoria, la stampa, la cultura e così via. E il collante era proprio la massoneria, alla quale aderiscono molti dei personaggi eccellenti della società siciliana».
- Quando si parla di massoneria la verità viene a galla molto, troppo lentamente. Perché?
«Esiste una volontà politica di mettere tutto a tacere. Io per esempio mi sono molto meravigliato del fatto che la Commissione sulla P2 non abbia pubblicato gli elenchi di tutti i massoni italiani. Alcuni commissari hanno barattato la loro adesione alla relazione Anselmi in cambio della segretezza di questi elenchi; e tra coloro che si sono opposti alla pubblicazione dei nomi ci sono alcuni politici siciliani di spicco, come il socialista Salvo Andò e il senatore democristiano Calarco».
- A Palermo una parte di verità è venuta a galla dopo la scoperta della loggia di via Roma. E a Catania?
«Anche a Catania esistono delle logge che attraversano trasversalmente i partiti di governo, le istituzioni, la stampa cittadina, l’imprenditoria. Un comitato d’affari, insomma, che da venti anni governa di fatto la città. Se proviamo ad immaginare uno scenario non troppo fantastico, possiamo assegnare il ruolo di gran maestro all’onorevole democristiano Nino Drago, probabilmente la vera testa pensante di questo comitato. Ogni tanto c’è un ricambio di uomini, ma i metodi restano sempre gli stessi. E questi vengono applicati, da altri uomini, in tutta la Sicilia».
L’eredità perduta.
Quello che consta rimanere dell’enorme mole di scritti, esposti al
C.S.M. e denunce corredate da voluminosi dossier, pare siano solo una
serie di schede in cui traccia un’analisi degli assetti e delle
trasformazioni del territorio che costituiscono, a suo avviso, «uno
strumento formidabile per comprendere, risalendo alle cause,
interconnessioni occulte, intrecci speculativi, per conoscere i gestori
segreti delle più grosse operazioni di rapina mafiosa nel territorio
siciliano», di cui afferma aver fornito agli organi inquirenti e alle
massime cariche dello Stato ogni più dettagliata informazione.
Le schede rappresentano, secondo le stesse indicazioni dell’Autore
«tracce sistematiche di lavoro di ulteriore ricerca collettiva da
svolgere». Ne riproduciano di seguito integralmente il contenuto, tratto
da Avvenimenti del giugno 96 [in ”Antimafia” n. 2/1990].
“PER RIPRENDERE E CONTINUARE”
di Giuseppe D’Urso
La sezione siciliana dell’Istituto Nazionale di Urbanistica
sottolinea la maturità dei contenuti e l’approfondimento delle tematiche
di tutti gli interventi di questa coraggiosa e democratica assemblea.
Per noi, urbanisti democratici, l’analisi degli assetti e delle
trasformazioni del territorio costituisce uno strumento formidabile per
comprendere, risalendo alle cause, interconnessioni occulte, intrecci
speculativi e per conoscere gestori segreti.
Abbiamo fornito e forniamo alla Magistratura elementi precisi
e puntuali sulle più grosse operazioni di rapina mafiosa nel territorio
siciliano.
Al Sindacato democratico, unitariamente riunito oggi a Palermo,
vogliamo invece fornire delle riflessioni, sotto forma di schede
sintetiche, per contribuire a fare chiarezza sulle questioni generali
dibattute in questa assemblea e ciò alla luce dell’esperenza fatta nelle
nostre specifiche ricerche.
Le schede rappresentano tracce sistematiche di lavoro di ulteriore ricerca collettiva da svolgere.
Esse sono le seguenti:
Scheda 1
Necessità di possedere una definizione complessiva, esaustiva
e storicamente valida del fenomeno in generale etichettabile come:
“alta criminalità organizzata”.
E’ necessaria l’unificazione sistematica di fenomeni sociali come:
a) criminalità economica organizzata
- mafia (Sicilia)
- ‘ndrangheta (Calabria)
- camorra (Campania)
- fibbia (Puglia)
- banditismo (Sardegna)
b) servizi segreti deviati
- dell’est (Patto di Varsavia)
- dell’ovest (Patto Atlantico)
- del Terzo Mondo (Paesi non allineati)
c) criminalità politica organizzata
- terrorismo rosso
- terrorismo nero
d) poteri occulti laici
- massoneria bianca ((Ovest-Est-Terzo Mondo)
- massoneria nera (nei Paesi dell’Ovest)
- massoneria rossa (nei Paesi dell’Est)
e) poteri occulti religiosi
- cattolici (internazionali)
– Opus Dei
– gesuiti laici
– cavalieri di Malta
- altre religioni (terzo mondo)
Anche se si rischia di allargare troppo il campo dell’indagine,
questo è uno sforzo che deve essere compiuto con l’aiuto degli
intellettuali progressisti: il rischio inverso è quello di tenere
l’obiettivo puntato sopra un elemento troppo limitato rispetto al quadro
generale.
Bisogna individuare l’intera figura della “piovra” e non
solamente uno dei suoi innumerevoli tentacoli (il quale anche se
asportato, col tempo si riforma così come era).
Una definizione di “alta criminalità organizzata” può essere la seguente:
“Gruppo sociale chiuso che, nell’ambito di un sistema
economico, articolandosi in una complessità di sottogruppi, ha come fine
l’accumulo e la gestione per i propri affiliati di ricchezze non
lavorative: il “gruppo” si avvale di strumentazione per la violenza
fisica e l’intimidazione morale, lega i suoi appartenenti con regole di
subordinazione e di morte ed ha un processo di adeguamento continuo a
quello del sistema economico a cui si riferisce“.
Scheda 2
Necessità di possedere una visione storica del problema, cercando di
intravedere i nessi tra storia della Sicilia, storia del Meridione
d’Italia e storia d’Italia dall’Unità alla fine della seconda guerra
mondiale (conferenza di Yalta).
A questa scheda si allegano alcune fotocopie di testi ritenuti
fondamentali per la comprensione di come alcuni fatti economico-sociali
si sono tra loro intrecciati: tutto ciò per capire quali sono le
interconnessioni del presente e quindi la limitazione delle analisi che
focalizzano solo un aspetto della questione.
L’analisi storica deve mettere in luce quali sono stati i rapporti
tra potere economico e potere istituzionale sia nelle campagne che nelle
città, sia al centro (Roma) che in periferia (settentrionale e
meridionale) facendo risaltare come il tutto si è evoluto fino ai nostri
giorni (e ciò al di fuori di esasperati ideologismi).
Debbono individuarsi fatti, situazioni e nomi precisi in modo tale da
comprendere in maniera puntuale i corsi e gli intecci degli avvenimenti
economico-sociali.
Le tappe di questa analisi sono:
1) la situazione preunitaria
2) l’Unità, Cavour e Garibaldi
3) l’età giolittiana
4) la prima guerra mondiale ed il primo dopoguerra (arricchimenti di guerra e loro impieghi)
5) avvento del fascismo: lotta alla mafia ed alla massoneria: il concordato
6) secondo conflitto mondiale e sistema Yalta
7) il secondo dopoguerra, ricostituzione di “cosche” e di “logge” e loro scala internazionale.
Scheda 3
Necessità di possedere una chiara radiografia dello stato
patrimoniale degli individui e dei gruppi che gestiscono oggi il sistema
economico, il sistema istituzionale, il sistema dei mass-media, il
sistema culturale. Solo una analisi puntuale in questo
senso può porre in luce i sotterranei rapporti che, mettendo in
cortocircuito il potere economico, il potere politico (legislativo,
esecutivo, giudiziario), il potere dell’informazione ed il potere
culturale, bloccano di fatto lo sviluppo economico e democratico del
popolo italiano a vantaggio di determinati gruppi chiusi di sfruttamento
economico e di conseguente reazione politica.
I lavoratori italiani debbono farsi carico politico di analisi che,
focalizzando comuni, province, regioni, organizzazione statale, mettano a
nudo, attraverso l’indagine finanziario-catastale, le posizioni di
tutti gli attuali detentori di potere.
Debbono farsi altresì carico dell’introduzione di una strumentazione
democratica che consenta per il futuro il controllo continuo su tutti i
detentori di potere previsti dalla nostra carta costituzionale.
Riproporre oggi tali materiali e schede che conservano piena
attualità e necessità di approfondimento ci appare oltre che un valido
strumento di analisi metodologica del fenomeno massomafioso anche un
modo per rendere omaggio a uno dei più coraggiosi siciliani che ha
combattuto come pochissimi altri per il bene comune e fare emergere la
Verità e la Giustizia (n.d.r.).
L’insabbiamento del «Caso Catania»
Alla fine del 1982, dietro denuncia del Presidente della sezione
siciliana dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, Prof. Giuseppe D’Urso,
scoppiava il “Caso Catania”.
Il Consiglio Superiore della Magistratura (C.S.M.) aveva finalmente
avviato una inchiesta sui denunciati ritardi, omissioni, falsità in atti
pubblici e insabbiamenti di alcune scottanti inchieste della Guardia di
Finanza e di altre Procure, segnalati dal noto urbanista e docente
siciliano.
Mentre a Palazzo dei Marescialli la Commissione referente del C.S.M.
interrogava il procuratore capo aggiunto Giulio Cesare Di Natale e il
sostituto procuratore Aldo Grassi, i principali indiziati del cd.
“Affaire Catania”, a Catania il sostituto Procuratore D’Agata spediva 56
comunicazioni giudiziarie per altrettanti imprenditori e presunti
faccendieri siciliani coinvolti in un colossale giro di fatture false e
di frodi fiscali.
il rapporto della Guardia di Finanza era stato lasciato in un
cassetto, negli uffici della Procura, per molti mesi; e improvvisamente,
mentre a Roma si sceglieva il capo della Procura catanese, questo
fascicolo delle Fiamme Gialle tornava a galla e partivano 56
comunicazioni giudiziarie.” [Claudio Fava, “La Procura di Catania può
saltare in aria”, I Siciliani, Febbraio 1983] (6).
Il 15 dicembre 1981, il Prof. D’Urso risulta avere infatti inviato un
voluminoso carteggio sulle presunte irregolarità nell’appalto che il
Comune di Catania concesse all’impresa del cavaliere del lavoro
Francesco Finocchiaro per la costruzione dell’edificio che ancora oggi
ospita gli Uffici giudiziari catanesi. Per finanziare i lavori e
affidarne la realizzazione, l’Amministrazione Comunale aveva utilizzato –
sosteneva nel suo esposto il prof. D’Urso – una legge creata per scopi
totalmente diversi. Una legge, invero, chiarissima – osserva Claudio
Fava – «che era difficile pensare ad un errore in fase di
interpretazione».
Quell’esposto non aveva ricevuto alcuna risposta né dalla Procura di Catania, né dal C.S.M.
Poi, ad ottobre, dieci mesi dopo, con un breve telegramma di poche
righe, indirizzato anche al Presidente, Sandro Pertini, il Prof. D’Urso
denuncia il silenzio in cui erano caduti i precedenti esposti inviati al
CSM, contenenti voluminosi dossier e vere e proprie circostanziate
denunzie, con cifre, testimonianze, documenti, fotocopie di delibere
comunali viziate, estratti del piano regolatore, citazioni di articoli
di legge completamente disattesi. Tra i dossier scottanti c’era anche
quello della Guardia di Finanza di Agrigento e l’impresa di costruzioni
Rendo.
Dopo la barbara uccisione del Generale Dalla Chiesa e della moglie,
l’opinione pubblica e la società civile premevano per conoscere tutte le
verità e la situazione della Procura catanese, osserva Claudio Fava,
«non poteva rimanere nel sospetto: bisognava acclararne la trasparente
linearità dei comportamenti di legge, oppure le colpe. Quali esse
fossero».
Ed è così, che dopo l’interlocutoria designazione di Costa a
procuratore Capo, seppure fosse ormai prossimo al pensionamento, il
C.S.M. affida l’incarico di coordinare l’inchiesta della prima
Commissione Referente al prof. Alfredo Galasso, docente universitario
palermitano, membro “laico” del Consiglio Superiore della Magistratura.
Tutte le denunzie pervenute al Consiglio sulla Procura di Catania
vengono riunite nel procedimento N. 501/81 e proprio prendendo lo spunto
da questi “capi d’accusa” la Commissione chiede formalmente ai vertici
giudiziari catanesi (Presidente del Tribunale, Ufficio Istruzione e
Procuratore Generale) dettagliate informazioni sullo stato delle più
scottanti inchieste da anni giacenti presso la Procura catanese.
Anzitutto il rapporto della Guardia di Finanza di Agrigento che aveva
provocato le 56 comunicazioni giudiziarie di novembre. L’inchiesta della
G.d.F. era nata nel 1979 dalle indagini su un imprenditore di Licata,
Giuseppe Cremona, che due anni prima era stato arrestato con l’accusa di
ricettazione di veicoli pesanti. Il Cremona, accertarono i finanzieri,
successivamente aveva preso in subappalto alcuni lavori per la
costruzione di una diga nella provincia di Enna. La ditta che aveva
fornito il subappalto era l’Ira, una delle molte imprese del gruppo
Graci. La Guardia di Finanza scoprì una grossa partita di fatture false
rilasciate dal Cremona alla ditta di Graci per lavori in realtà mai
eseguiti. Servendosi di queste fatture fasulle l’Ira avrebbe evitato
(questa l’accusa della Finanza) di versare allo Stato un congruo numero
di miliardi dovuti sull’Iva. Un’evasione fiscale in grande stile che
incuriosì gli inquirenti; nel giro di pochi mesi le Fiamme Gialle di
tutta la Sicilia accertarono che allo stesso sistema erano ricorsi molti
altri imprenditori dell’isola: l’Iva frodata alle casse dello Stato
ammontava, secondo i calcoli della G.d.F., ad oltre quattrocento
miliardi di vecchie lire. Gli imprenditori – secondo l’accusa – si
sarebbero serviti di alcuni comprimari compiacenti che rilasciavano
fatture – per importi elevatissimi – relative a lavori mai eseguiti. Il
rapporto della Finanza approdò alla Procura di Catania, dopo aver fatto
scalo negli uffici giudiziari di Siracusa, parecchi mesi prima. Si
ipotizzavano reati precisi: non solo l’evasione fiscale nei confronti di
Iva, Irpeg e Ilor ma anche reati di ben diversa caratura penale quali
la truffa e l’associazione per delinquere a scopi mafiosi, prevista
dalla legge La Torre. E nel rapporto della Finanza c’era tutto il
«Gotha» dell’imprenditoria siciliana, dai cavalieri del lavoro Gaetano
Graci e Mario Rendo, all’altro cavaliere catanese Carmelo Costanzo
(all’epoca latitante), ed ancora il costruttore Rosario Parasiliti, il
banchiere Salvatore Iaconitano (direttore dell’agenzia catanese della
Banca Agricola di Ragusa). In coda alla lista anche alcuni nomi di noti
personaggi assurti alle cronache giudiziarie come il mafioso agrigentino
Filippo Di Stefano (già assegnato ad un soggiorno obbligato) e il
trapanese Giovanni Traina, titolare di un’impresa di calcestruzzi nel
cui cantiere anni prima furono trucidate tre persone.
Nei vari esposti trasmessi al C.S.M., il Prof. D’Urso denunciava come
il rapporto della Finanza fosse rimasto lettera morta negli uffici
della Procura di Catania. Anzi, sempre secondo i termini degli esposti,
accadde che il dossier, ove si indicavano reati precisi sulla scorta di
elementi probatori altrettanto inequivocabili, venne infilato nel
cosiddetto fascicolo degli «Atti relativi». Il che, per un procedimento
penale, equivale alla morte civile.
«Un insabbiamento in piena regola» denunciano gli esposti del Prof. D’Urso inviati al C.S.M.
La città “senza mafia”
Nonostante l’appalto della nuova sede, proprio per la Pretura di
Catania, in via Crispi, fosse stato denunciato dal prof. D’Urso,
Direttore del Dipartimento Urbanistica della locale Università e da un
nutrito gruppo di architetti e giornalisti, nessuno si mosse per lungo
tempo né presso il Consiglio Comunale né in Procura né al C.S.M., che
alla fine assunse dei provvedimenti minori, senza intaccare la struttura
di potere della città siciliana che vantava il primato esclusivo di
essere «senza mafia».
Nella storia della città e del movimento antimafia quella inerzia,
secondo Giambattista Scidà, «segnò una svolta». Le forze dominanti e il
costruttore della Pretura potevano dormire sonni tranquilli. Il Prefetto
di Palermo Dalla Chiesa, autore della fatidica intervista sulla mafia a
Catania e sulle collusioni con gli imprenditori catanesi (La
Repubblica del 10/08/’82), venne ucciso il 3 settembre, cioè 24 giorni
dopo. Durante la solenne inaugurazione del nuovo edificio, in ottobre,
il costruttore poté esaltare, tra gli applausi, i meriti
dell’imprenditoria catanese. Dall’interno di quel nuovo «tempio della
giustizia» il disinvolto costruttore mafioso trionfava sul servitore
dello Stato Italiano, che rinunciava a fare prevalere la legalità e lo
stato di diritto. A Dalla Chiesa successe, con poteri di Alto
Commissario Antimafia, ex Questore di Catania, il quale aveva sempre
mantenuto buoni rapporti con la mafia imprenditoriale locale e i grandi
costruttori isolani. [“Per capire il caso Catania”, Giambattista Scidà,
http://www.ucuntu.org/Per-capire-il-caso-Catania.html].
Il giornale “I Siciliani” fu chiuso quello stesso anno. Giuseppe Fava
venne ucciso il 05.01.1984. Il quotidiano La Repubblica accettò di
chiudere il proprio ufficio di corrispondenza e di non occuparsi della
provincia etnea nella cronaca regionale. In tale clima, l’inchiesta del
C.S.M. venne facilmente esorcizzata, senza mettere in luce le prassi
devianti della locale Procura, riducendo il “caso Catania” alle
responsabilità di soli due soggetti. Dei complessi intrecci della
realtà catanese, tuttora persistenti, come nel resto dell’isola, tutto
restava in ombra.
«I Siciliani»
Nell’autunno 1984, il Prof. D’Urso fondò l’Associazione «I
Siciliani», di cui fu il Presidente. L’Associazione si radicò
rapidamente ed acquistò peso ed influenza in tutta Italia. Insieme al
Coordinamento Antimafia di Palermo e al Centro Peppino Impastato, fu il
primo esempio in assoluto di politica militante, nell’Italia degli anni
Ottanta, fuori dai partiti. L’Associazione godette della collaborazione
di studiosi e magistrati, come il prof. Franco Cazzola e il giudice
Scidà, ma anche di religiosi e persone comuni, come il sacerdote
Giuseppe Resca e l’operaio Giampaolo Riatti. Era la nuova classe
dirigente, quella che avrebbe potuto davvero cambiare tuttom che – come
conclude Orioles – «finche’ essa fu unita, non passarono i gattopardi».
Nel 1990, il professore fu fra i ventiquattro fondatori della Rete.
Ne organizzò i primi passi dal letto in cui già era inchiodato,
contribuendo come pochi altri alle sue prime vittorie.
BIBLIOGRAFIA
1. “Massomafia. Il teorema. Mi dicevano di lasciar perdere”, I Siciliani settimanale, 19.3.86;
2. Claudio Fava, “La mafia comanda a Catania”, Laterza, Roma-Bari 1991;
3. Luciano Violante, «Non è la piovra. Dodici tesi sulle mafie italiane», Einaudi, Torino 1994;
4. P. Sini, “Esempi per una cultura antimafia”: http://lists.peacelink.it/mafia/msg00042.html;
5. Claudio Fava, “La Procura di Catania può saltare in aria”, I Siciliani, Febbraio 1983;
6. “Per capire il caso Catania”, http://www.ucuntu.org/Per-capire-il-caso-Catania.html;
7. “la raison tonne en son cratère”, Riccardo Orioles, in “Allonsanfan”, libro elettronico;
8. G. D’Urso: “Per riprendere e continuare”: http://lists.peacelink.it/mafia/msg00042.html
http://www.avvocatisenzafrontiere.it/?p=1882