Le Burocrazie della Globalizzazione con le loro leggi impediranno ad ogni paese membro dell'UE di autodeterminare il proprio sistema sociale; è questo ciò che dice Diana Johnstone nell'articolo "Collapse of Social Security: French Workers Confront the Neoliberal Policy Agenda", parlando del caso specifico francese. Anche se la Francia avesse la capacità di autodeterminarsi sappiamo però quanto Nicolas Sarkozy sia intimamente legato a tali burocrazie globaliste e per nulla motivato al cambiamento. Nonostante non affronti direttamente il problema della sovranità-autonomia monetaria, l'unica soluzione, vietata dal'UE e dalla BCE, che sgancerebbe la Francia, così come tutti gli altri paesi europei, dalla Burocrazia della Globalizzazione, questo articolo da un quadro di insieme della posta in gioco in questo paese e in tutta Europa e le analisi che fornisce sono molto interessanti.
di Diana Johnstone
22 Ottobre 2010
Global Research
traduzione: http://nwo-truthresearch.blogspot.com
"Lavorare di più per guadagnare di meno": Furia francese nella gabbia dell'Unione Europea
I francesi sono di nuovo in sciopero, stanno bloccando i trasporti, scatenano l'inferno nelle strade e tutto ciò solo perché il governo vuole innalzare l'età pensionabile da 60 a 62 anni. Essi devono essere pazzi.
Questo, suppongo io, è il modo in cui è visto il movimento di massa in corso in Francia, o almeno è mostrato, in gran parte del mondo, e soprattutto nel mondo Anglosassone. Forse la prima cosa che deve essere detta a proposito degli scioperi di massa è che questi non sono realmente intorno "all'aumento dell'età pensionabile da 60 a 62 anni". Questo è un po come descrivere il libero mercato capitalista come una sorta di stand di limonate. Una semplificazione propagandistica su questioni molto complesse. Permette ai commentatori di sfondare una porta aperta. Dopo tutto, essi osservano saggiamente, le persone in altri paesi lavorano fino a 65 o più anni, quindi, perché i francesi si scoraggiano a 62? La popolazione sta invecchiando, e se l'età di pensionamento non viene fatta salire, il sistema pensionistico andrà in rovina nel pagamento delle pensioni a così tanti anziani. Tuttavia, il movimento di protesta in corso non è circa "l'aumento dell'età pensionabile da 60 a 62 anni." Si tratta di molto di più. Per prima cosa, questo movimento è l'espressione dell'esasperazione nei confronti del governo di Nicolas Sarkozy, che favorisce palesemente i super-ricchi rispetto alla maggior parte delle persone che vivono in questo paese. E' stato eletto con lo slogan "Lavorare di più per guadagnare di più", e la realtà si è tramutata in lavorare di più per guadagnare di meno. Il ministro del lavoro che ha introdotto la riforma, Eric Woerth, ha ottenuto un lavoro per la moglie nell'ufficio del personale della donna più ricca di Francia, Liliane Bettencourt, l'erede del gigante dei cosmetici Oreal, nel momento in cui, come ministro del bilancio, stava sorvolando sulla sua massiccia evasione fiscale. Mentre i benefici fiscali per l'aiuto dei ricchi vuotano le casse pubbliche, questo governo sta facendo tutto il possibile per abbattere l'intero sistema previdenziale che è emerso dopo la Seconda Guerra Mondiale, con il pretesto che "non possiamo permettercelo." Il problema del pensionamento è molto più complesso "dell'età di pensionamento". L'età legale di pensionamento significa l'età alla quale si può andare in pensione. Ma la pensione dipende dal numero di anni di lavoro, o per essere più precisi, dal numero di contributi (versamenti) nell'articolazione del regime pensionistico. Per i motivi di "salvataggio del sistema dalla bancarotta", il governo sta aumentando gradualmente il numero di anni di contributi da 40 a 43 anni, con indicazioni che questi aumenteranno ulteriormente in futuro. Così, mentre l'educazione si prolunga e l'occupazione inizia più tardi, per avere una pensione completa la maggior parte delle persone dovranno lavorare fino a 65 o 67 anni. Una "pensione completa" arriva a circa il 40% dei salari al momento del pensionamento. Ma anche così, questo potrebbe non essere possibile. I posti di lavoro a tempo pieno sono più duri e più difficili da ottenere e i datori di lavoro non necessariamente vogliono trattenere i dipendenti più anziani. Oppure l'impresa cessa l'attività e un impiegato di 58 anni si ritrova permanentemente senza lavoro. Sta diventando sempre più difficile lavorare a tempo pieno con un lavoro salariato di oltre 40 anni, per quanto si possa decidere di volerlo. Così, in pratica, la riforma Sarkozy-Woerth significa semplicemente la riduzione delle pensioni. Che, di fatto, è ciò che l'Unione Europea ha raccomandato a tutti i suoi stati membri, come misura economica destinata, come la maggior parte delle riforme in corso, a ridurre i costi sociali in nome della "competitività", che significa competizione per attrarre i capitali di investimento. I lavoratori meno qualificati, che, invece di proseguire gli studi, sono entrati nel mondo del lavoro da giovani, diciamo a diciott'anni di età, aderiranno a un regime per 42 anni fino all'età di 60, se essi riusciranno davvero ad essere impiegati per tutto questo tempo. Le statistiche mostrano che la loro aspettativa di vita è relativamente breve, quindi necessiterebbero di abbandonare prima per godere di un qualsiasi pensionamento. Il sistema francese si basa sulla solidarietà tra generazioni, in quanto i contributi dei lavoratori di oggi vanno a pagare le pensioni di oggi. Il governo ha sottilmente provato a mettere una generazione contro l'altra, sostenendo che è necessario tutelare il futuro dei giovani di oggi, che stanno pagando per i pensionamenti "baby boom". E' quindi estremamente significativo che questa settimana gli studenti liceali e universitari abbiano iniziato ad entrare massicciamente nel movimento scioperativo di protesta. Questa solidarietà generazionale è un duro colpo per il governo.
I giovani sono anche più radicali di quanto lo siano i sindacalisti più anziani. Sono molto consapevoli della crescente difficoltà a costruirsi una carriera. La tendenza per il personale qualificato è quella di entrare nel mondo del lavoro sempre più tardi, dopo anni passati a ricevere un'istruzione. Con la difficoltà a trovare un lavoro stabile full-time, molti dipendono dai loro genitori fino all'età di 30 anni. E' la semplice aritmetica che mostra, in questo caso, che non ci sarà alcuna pensione completa fino ad oltre i 70 anni.
Produttività e deindustrializzazione
Siccome è diventata una pratica standard, gli autori delle riforme neo liberali le presentano non come una scelta, ma come una necessità. Non c'è alternativa. Dobbiamo competere sul mercato globale. Dobbiamo farlo o andremo in rovina. E questa riforma era essenzialmente dettata dall'Unione Europea, in un rapporto del 2003, che concludeva che, siccome le persone lavoravano più a lungo, era necessario tagliare i costi pensionistici. Questi dettami impediscono ogni discussione di due fattori fondamentali alla base del problema delle pensioni: la produttività e la deindustrializzazione. Jean-Luc Mélenchon, l'ex Partito Socialista che che guida il relativamente nuovo Partito di Sinistra, è praticamente l'unico leader a sottolineare che, anche se ci sono meno lavoratori che contribuiscono ai regimi pensionistici, la differenza può essere costituita dalla crescita di produttività. Infatti, la produttività del lavoratore francese è tra le più alte nel mondo (superiore a quella della Germania, per esempio). Inoltre, anche se la Francia ha la seconda maggiore aspettativa di vita in Europa, ha anche il tasso di natalità più alto. E anche se gli impiegati sono di meno, a causa della disoccupazione, le ricchezze che producono dovrebbero essere sufficienti a mantenere i loro livelli di pensione. Ah, ma qui sta l'inghippo: per decenni, mentre la produttività era in aumento, i salari stagnavano. L'aumento dei profitti di produttività è stato dirottato nel settore finanziario. La bolla del settore finanziario e la stagnazione del potere di acquisto hanno portato alla crisi finanziaria, e il governo ha preservato lo squilibrio attraverso il salvataggio dei dissoluti finanzieri.
Quindi, logicamente, il mantenimento del sistema pensionistico richiede fondamentalmente l'aumento dei salari per tenero conto della maggiore produttività, un cambiamento politico molto importante. Ma c'è un altro problema cruciale collegato alla questione delle pensioni: la deindustrializzazione. Al fine di mantenere alti i profitti drenati dal settore finanziario, e evitare di pagare salari più alti, un settore dopo l'altro ha trasferito la propria produzione in paesi a basso costo del lavoro. Aziende redditizie chiudevano, mentre i capitali andavano in cerca di profitto ancora più elevato. E' meramente questo l'inevitabile risultato della nascita delle nuove tendenze industriali in Asia? E' questo un inevitabile abbassamento degli standard di vita in Occidente dovuto alla sua origine in Oriente? Forse. Tuttavia, se si sposta la produzione in Cina, si finisce per abbassare il potere di acquisto in Occidente, e quindi le esportazioni cinesi ne soffriranno. La Cina sta facendo i primi passi verso il rafforzamento del porprio mercato interno. La "Crescita guidata da esportazioni" non può essere una strategia per tutti. La prosperità mondiale dipende in realtà dal rafforzamento sia della produzione nazionale che dei mercati nazionali. Ma questo richiede una sorta di deliberata politica industriale che è vietata dalle burocrazie della globalizzazione: l'Organizzazione Mondiale del Commercio e l'Unione Europea. Esse operano con i dogmi del "vantaggio comparativo" e della "libera concorrenza". Per i motivi di libero mercato, la Cina è in realtà di fronte a sanzioni per la promozione della sua industria dell'energia solare, vitalmente necessaria per porre fine all'inquinamento atmosferico che affligge questo paese. L'economia mondiale è trattata come un grande gioco, dove seguire le "regole del libero mercato" è più importante dell'ambiente o delle necessità di base degli esseri umani. Solo i finanzieri possono vincere questa partita. E se perdono, beh, essi ottengono dai governi servili ancora più sodi per un altro gioco.
Impasse?
Dove andremo a finire?
Si dovrebbe finire in qualcosa di simile ad una rivoluzione democratica: una completa revisione della politica economica. Ma ci sono molte solide ragioni per cui ciò non accadrà. Per prima cosa, non c'è una leadership politica in Francia che sia pronta e in grado di portare veramente un movimento radicale. Mélenchon è ciò che si avvicina di più, ma il suo partito è nuovo e la sua base è ancora stretta. La sinistra radicale è paralizzata dal suo cronico settarismo. E c'è una grande confusione tra la gente in rivolta senza programmi chiari e leaders. I leader dei lavoratori sono perfettamente consapevoli che i dipendenti perdono una giornata di salario per ogni giorno che vanno in sciopero e, in realtà, sono sempre ansiosi di trovare il modo di porre fine allo sciopero. Solo gli studenti non soffrono di tale situazione. I sindacalisti e i dirigenti del Partito Socialista non chiedono nulla di più drastico di quello di aprire i negoziati sui dettagli della riforma. Se Sarkozy non fosse così testardo, questa è una concessione che il governo potrebbe fare e che potrebbe riportare la calma senza cambiare molto. Ci vorrebbe la nascita miracolosa di nuovi leader per portare il movimento in avanti. Ma anche se questo dovesse accadere, vi è un formidabile ostacolo ad un cambiamento fondamentale: l'Unione Europea. L'UE, edificata sul sogno popolare di una pacifica e prospera Europa unita, si è trasformata in un meccanismo di controllo economico e sociale per conto del capitale e, in particolare, del capitale finanziario. Inoltre, è legata ad una potente alleanza militare, la NATO. Se lasciata a se stessa, la Francia potrebbe sperimentare in sistema economico più giusto socialmente. Ma l'UE è li proprio per prevenire tali esperimenti.
Attitudini Anglosassoni
Il 19 Ottobre, il canale televisivo internazionale France 24 mandò una discussione degli scioperi tra 4 osservatori non francesi. La donna portoghese e l'uomo indiano sembrava stessero cercando, con discreto successo, di capire cosa stava succedendo. Al contrario, i due angloamericani (il corrispondente da Parigi della rivista Time e Stephen Clarke, autore di 1000 Years of Annoying the French) si divertivano nel dimostrare l' auto-compiaciuta incapacità di capire il paese di cui scrivono per vivere. La loro semplice e rapida spiegazione:"I francesi sono sempre in sciopero perché gli piace."
Un po più avanti nel programma il moderatore ha mostrato un breve colloquio con uno studente del liceo che ha fornito dei commenti seri sulla questione delle pensioni. Forse ciò avrebbe fatto riflettere gli anglosassoni? La risposta è stata istantanea:"Che tristezza vedere un 18enne pensare alle pensioni quando dovrebbe pensare alle ragazze!" Quindi, sia che lo facciano per divertimento, o sia che lo facciano invece di divertirsi, per gli angloamericani, abituati a raccontare al mondo intero quello che dovrebbero fare, i francesi sono ridicoli.
Diana Johnstone è l'autrice di Fools Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions.
link articolo originale: http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=21561